In piazza Altamira, il pupazzo impiccato al semaforo è il presidente Nicolas Maduro. A Los Ruices – altro quartiere di classe media con l’opposizione all’80% dei voti – altri pupazzi col cappio. Rappresentano i militari «servi dei cubani», che un cartello definisce «leccaculi, traditori, codardi». Di fianco, penzolano prodotti che scarseggiano nei supermercati. Partono tre vie a croce, in parte bloccate da cumuli di copertoni, letti, spazzatura che all’occorrenza sarà incendiata. Nei giorni scorsi – racconta un abitante – il camion della nettezza urbana ha tentato di ritirarla, ma è stato dissuaso a sassate.

Le strade di Caracas sono insolitamente scorrevoli per via dei giorni di festa, ma a Los Ruices ferve la «guarimba». Una tecnica insurrezionale, già vista nel 2004 contro la presidenza di Hugo Chavez. Si bloccano le strade dei quartieri e anche le arterie principali. Si attaccano edifici e forze governative: per provocare una reazione «repressiva» dello Stato che giustifichi un intervento straniero, appoggiato da una sollevazione interna. Roberto Alonso, l’ideologo di estrema destra della «guarimba», la definì uno sfogo senza controllo di tutte le singole frustrazioni: con l’unico obiettivo di paralizzare il paese.

Fino al tramonto, l’accesso alle macchine è parzialmente consentito. La stessa gente di opposizione comincia a non poterne più del fumo dei rifiuti bruciati e di quello dei lacrimogeni, quando la Guardia nacional bolivariana (Gnb) interviene per disperdere gli attacchi più accesi: «Los Ruices si rispetta», ha scritto qualcuno. Nei cortili dei palazzi che affacciano sulla strada, stazionano cumuli di oggetti gettati dalle finestre sui militari, resti di bottiglie molotov, un’enorme testuggine, e persino un vecchio water. La Gnb staziona poco lontano. Quando entra con le motociclette, quello dietro stende uno scudo di plexiglas sulla testa del guidatore. Lunedì sera, quando un’ottantina di persone ha ripreso la «guarimba», una ragazza della Gbn è entrata a piedi in una delle strade bloccate per evitare il linciaggio di un ladro, seguita da due altri militari. Altri manifestanti hanno srotolato un lenzuolo con su scritto «Gente de Los Ruices» e hanno marciato fino alla vicina Tv Canal 8, che ha subìto danni e aggressioni ai giornalisti. Visibile anche all’entrata degli studi tv resti di molotov e di oggetti lanciati. Poi il suono delle casseruole si è interrotto, per riprendere verso le 2 di notte. Per strada, alcune persone hanno giocato a domino fino a tardi, intorno a un tavolo con su scritto «spiaggia». La festa e la protesta. Da una parte le maschere del carnevale e i fuochi d’artificio, dall’altra i passamontagna e gli incendi dei «guarimberos» che chiedono «la salida» (la partenza) di Maduro. Nel fine settimana, la maggioranza dei cittadini ha approfittato dei 4 giorni di vacanza per godersi la spiaggia. Un’altra parte del paese ha scelto la piazza. Nei quartieri di classe medio alta, dove la Mesa de la unidad popular (Mud) fa il pieno di voti, l’opposizione ha animato una grossa manifestazione. E ieri c’è stata un’altra marcia nella parte est.

Oggi, una grande sfilata civico-militare ricorda l’ex presidente Chavez, scomparso da un anno. Tra gli ospiti internazionali, il regista Oliver Stone, che presenta il suo film «Il mio amico Chavez».

Gli studenti «chiedono risposte chiare», titolano i grandi media privati, mentre Maduro rinnova l’invito al dialogo. Ma, al di là di una generica protesta contro l’insicurezza e l’inflazione (problemi storici del Venezuela che non si risolvono per decreto e sui quali di certo non si è fatto peggio dei governi della IV Repubblica, modello Fmi), l’unica richiesta chiara è: far cadere il governo. Che sarà «inefficiente», ma quando interviene contro le speculazioni dei commercianti e il contrabbando non va più bene. Si protesta contro «l’impunità» e al contempo contro «la dittatura che reprime». Il tasso di criminalità è elevato (che dire del Messico e di altri paesi latinoamericani?). In nessun paese democratico, un generale golpista può asserragliarsi nella villa di lusso con un mitragliatore, minacciare una strage e non venire arrestato, com’è successo qui. Che sarebbe accaduto se l’esercito fosse intervenuto?

In un paese in cui l’istruzione è gratuita così come tutti gli altri diritti elementari, le contestazioni nascono soprattutto dalle scuole private, ove i ceti politici abituati al comando non accettano che «anche la cuoca possa dirigere lo stato» (in questo caso l’ex operaio del metro Nicolas Maduro). Il coro di anime belle dirige la grancassa sui «diritti umani». Il cileno José Vivanco, direttore della sezione americana di Human Rights Watch, se l’è presa persino con Miguel Insulza, segretario dell’Organizzazione degli stati americani (Osa). Sollecitato dai governi neoliberisti di Panamà e Paraguay, Insulza ha risposto che l’Osa «non interverrà in Venezuela né in nessun altro paese». Dichiarazioni «sfortunate», secondo Vivanco, perché «i diritti umani sono universali». Universali, sì, ma evidentemente «con riserva» per Vivanco, per nulla toccato dalla violenza dei «guarimberos». Si dà per inteso che lo facciano per una «giusta causa», quella dei banchieri e degli oligarchi. E qui, che il fine giustifichi i mezzi non scandalizza nessun professionista della «non violenza». A Ginevra, il ministro degli Esteri, Elias Jaua, ha esposto la situazione al Segretario Onu, Ban Ki-moon.
In Gran Bretagna, oltre 70 personalità hanno firmato un appello pubblicato dal Guardian contro il golpe strisciante in Venezuela. Fra cui Ken Loach, John Pilger, Tariq Ali, l’ex sindaco di Londra Ken Livingston e l’economista Itsvan Meszaros. «Maduro, però, non cadrà, i suoi indici di gradimento restano moderatamente alti», commenta dagli Usa Merrill Lynch, tra le analiste più critiche della gestione economica del governo bolivariano.