Un «No english» urlato nella cornetta subito riagganciata. È l’unica risposta ottenuta dall’aereo Moonbird quando alle 9.12 del 18 marzo scorso ha avvistato un’imbarcazione in difficoltà e provato a contattare le autorità libiche ai nove numeri telefonici di cui era in possesso. Negli altri otto casi ha ascoltato il suono di un fax, dell’apparecchio fuori posto, dell’utente occupato o semplicemente tanti squilli a vuoto. Queste informazioni emergono dal registro di bordo del velivolo dell’Ong Sea-Watch, che il manifesto ha potuto consultare. Al suo interno sono registrati 31 tentativi di chiamate e 9 mail inviate per sollecitare il soccorso di 49 persone che rischiavano di naufragare. Alla fine, l’intervento è stato compiuto dalla nave Mare Jonio che le ha tratte tutte in salvo.

Questi elementi completano il quadro emerso nei giorni scorsi dalle conversazioni tra Roma e Tripoli pubblicate da Mediterranea e depositate presso la Procura di Agrigento. Da quelle voci appare evidente l’incapacità dei libici a garantire le operazioni di soccorso in mare. Una situazione grave che non riguarda un singolo episodio. Lo conferma un video postato in queste ore sempre da Sea-Watch. Le immagini sono girate da Moonbird, risalgono al 10 aprile e ritraggono una barca alla deriva in mezzo al Mediterraneo: trasporta 20 persone, imbarca acqua e non ha più un motore.

Dal velivolo chiamano i centri di coordinamento del soccorso in mare (Mrcc) di Roma e Bremen. Entrambi declinano la responsabilità del caso sulle autorità libiche. Due telefonate alla «guardia costiera» di Tripoli vanno a vuoto. Il terzo tentativo è con l’autorità portuale di quella città. Stavolta qualcuno risponde, ma interrompe la telefonata appena sente pronunciare delle parole in inglese. L’episodio si concluderà in maniera differente da quello che ha coinvolto la Mare Jonio. «Otto persone sono morte annegate perché gli Mrcc di Bremen, Roma e Tunisia hanno rifiutato di soccorrerle delegando il coordinamento ai libici – scrive Sea-Watch su twitter – Il barchino di legno è stato lasciato alla deriva per 16 ore mentre l’Ue guardava dall’alto».

«I due episodi mostrano come la guardia costiera libica sia completamente inadeguata ad assumere la responsabilità del soccorso delle persone nella sua area Sar – afferma Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch – Se anche potessero garantire le operazioni di soccorso, inoltre, i libici non avrebbero alcun porto sicuro da offrire per lo sbarco. Quella Sar è illegittima». «Fa male ascoltare uomini di marina e guardia costiera italiana – continua Linardi – che si preoccupano delle formalità relative all’assunzione di responsabilità dei libici invece che della messa in sicurezza dei naufraghi. È una degenerazione preoccupante che dipende dagli ordini di un governo che non ha idea di cosa siano le leggi del mare».

Intanto in Libia la situazione non accenna a migliorare. Mentre si moltiplicano le denunce sull’ulteriore deterioramento delle condizioni dei migranti reclusi nei centri, il ministro dell’Interno Fathi Beshaga ha dichiarato ieri a il Giornale che «la Guardia costiera è focalizzata sulla protezione della popolazione della Tripolitania e ha dovuto interrompere le operazioni di intercettazione degli immigrati illegali». Nei prossimi giorni, della farsa della zona Sar e della Libia come porto sicuro potrebbero cadere le ultime maschere.