Sarah Bakewell, scrittrice inglese arrivata al successo con il suo libro Montaigne. L’arte di vivere (Fazi editore) che le è valso il National Book Critics Circle Award 2010 per la migliore biografia, ha lo spirito da catalogatrice. Sarà per i viaggi che fin da piccola ha dovuto affrontare con i suoi genitori che l’hanno portata a vivere in Australia, in Asia e poi a fare ritorno in Europa, che Bakewell ha fatto di questa esperienza di nomadismo un’avventura di osservazione dei dettagli. Dopo essersi laureata in Filosofia all’università di Essex e aver seguito un corso di perfezionamento in Intelligenza artificiale e Storia della medicina, ha lavorato in una fabbrica di bustine da té e in diverse librerie, tutte inglesi. Attualmente insegna scrittura creativa al Kellogg College di Oxford ma è maneggiando i libri antichi che ha cominciato a interrogarsi sull’ipotesi di scrivere.
Sempre per Fazi, è stato appena pubblicato Al caffè degli esistenzialisti. Libertà, Essere e Cocktail (per la traduzione di Michele Zurlo, pp. 480, euro 20) che corrisponde alla sua passione per quel fulgido e affascinante momento rappresentato dall’esistenzialismo. «Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, in particolare, hanno avuto il desiderio di cambiare il mondo. Un’enorme ambizione che sarebbe bello possedere anche oggi».

È innamorata della filosofia, che cosa significa per lei?
La filosofia può essere molte cose. Non c’è una sola disciplina della «filosofia», perché l’arco comprende e va da chi la pratica come puro sapere accademico a chi prova a vivere in consonanza con la propria filosofia nel mondo. Non credo che nessuno di questi due atteggiamenti possa rivendicare e avocare a sé la parola «filosofia». Per quanto mi riguarda, sono più interessata alle filosofie della vita, delle relazioni umane, del mondo condiviso in cui viviamo. Certo, non amo vederla rappresentata come una mera ricetta per una buona vita o un modo per essere felici. La filosofia fornisce molte meno risposte, si tratta piuttosto di fare le domande giuste.

Questa concentrazione verso le vite dei filosofi da dove proviene?
Ho trovato interessanti molte vite di filosofi. Con questo non voglio dire che siano esemplari ma con un forte senso del dramma sì, alcune parti di quelle storie così complesse e i potenti amori, le grandi lotte, il loro coinvolgimento politico e di impegno mi hanno spesso suggerito uomini e donne che hanno avuto a cuore ciò che hanno fatto. In particolare, mi sono riferita a quei filosofi che hanno scritto intorno alle esperienze ordinarie e quotidiane, come gli esistenzialisti hanno fatto, indagando e appuntando a proposito della propria e di quella di altri. Sartre, per esempio, era biografo – ha composto migliaia di pagine. Sarebbe davvero strano guardare a un filosofo come lui e fare finta di non sentire rilevante il modo in cui ha vissuto. Di solito attraverso le idee intuisco e cerco di capire le vite e viceversa. C’è un forte e costante movimento tra idee e vita.

Lei ha detto di essere stata una «ragazzina esistenzialista», ispirata da «La Nausea» di Jean-Paul Sartre. Poi cosa è successo e, soprattutto, perché ha fatto ritorno all’esistenzialismo?
Ho scoperto il libro di Sartre nel giorno del mio sedicesimo compleanno – lo avevo comprato per caso perché incantata dalla copertina. Mi piaceva anche il titolo, così strano. Solo dopo averlo letto ho scoperto che il libro era molto più che strano, forse troppo: negli occhi dei miei 16 anni osservavo quelle cose colme di trasformazioni descritte nelle pagine sartriane, quelle esperienze apparentemente senza senso attraverso il protagonista Roquentin. Egli cerca di capire solo cosa gli stia accadendo intorno. Come in un thriller in cui l’unica soluzione si rivela essere filosofica. Così ho proseguito leggendo Albert Camus e Simone de Beauvoir. All’università ho invece conosciuto Martin Heidegger per poi collocarmi lontana da lui e dal suo pensiero, così come dalla filosofia per parecchi anni. Quando ho ricominciato a rileggere gli esistenzialisti l’ho fatto per curiosità, volevo sapere se, in una fase diversa della mia vita, mi potessero ancora sembrare eccitanti. La risposta è che lo erano ancora ma per ragioni completamente differenti.

Nella prospettiva critica da cui parte il suo lavoro, viene dedicato ampio spazio a un’idea portante che è quella della libertà. Come si è misurata con il rilievo esistenzialista?
Nel senso comune, si immagina che la libertà nel principio esistenzialista si configuri come un fare quel che ci piace, in modo selvaggio e irresponsabile. Procedere insomma secondo il personale sentire in ogni singolo momento. In realtà, è vero il contrario. Per Sartre, la libertà porta con sé anche una grande responsabilità. Scegliamo quello che facciamo e nell’istante della scelta bisogna pensare lo si stia facendo non solo per sé ma anche per gli altri. L’azione del singolo acquista dunque un’importanza cruciale, se intesa in questo senso.

Insieme alla libertà, altre parole hanno contrassegnato quell’orizzonte di senso che è stato l’esistenzialismo. Essere, responsabilità, l’altro, sessualità, relazione, autenticità, assurdo – solo per citarne alcune. Lei crede che qualcuna di queste idee in particolare vada rimeditata oggi con maggiore urgenza?
Probabilmente la responsabilità. È incredibilmente difficile essere onesti con se stessi circa le proprie azioni, e sulle conseguenze che possono avere per gli altri.
Nel suo volume precedente ha affrontato Montaigne, ora l’esistenzialismo e la fenomenologia. Due atmosfere molto diverse nel nome della condizione umana?
In fondo mi dico che ogni libro pubblicato, non solo i miei, si riferiscano in ultima istanza alla condizione umana. Separandosene, cercando di comprenderla, interpretarla o tenendola sullo sfondo. In effetti il punto di vista di chi scrive è per forza umano. Ed è un elemento, questo, inaggirabile.

Immaginazione, documentazione, modi di stare nel mondo. Quando decide di scrivere, in che modo lavora e quali aspetti predilige?
Prediligo la documentazione, almeno in prima battuta. Scrivo di storie che mi interessano molto ma voglio stare fedele ai dettagli giusti, per quanto possibile. Non amo inventare narrazioni dal nulla, preferisco invece tornare indietro e mettermi alla ricerca di figure particolari, speciali, insieme ai contesti da cui partono. Quindi leggo moltissimo per acquisire la sensazione del mondo da cui emergono. E poi, naturalmente, l’immaginazione entra in gioco, così posso provare a lambire la loro esperienza e dare avvio alla mia interpretazione. È come una continua scoperta, anche per me in modo che l’atto della scrittura faccia sgorgare cose che ancora non conosco o che credevo di sapere e invece risultano non veri. Per me, questi sono i momenti più belli nella vita di una scrittrice.

*

L’ultimo libro di Sarah Bakewell dal titolo «Al caffè degli esistenzialisti. Libertà, Essere e Cocktail» verrà presentato domenica 20 novembre alle 13.00 al Teatro Franco Parenti di Milano. Con l’autrice interverranno Mauro Bonazzi, Armando Massarenti e Gianni Vattimo