Grande 500 kmq, abbastanza da farne la maggiore delle isole Marianne e dell’intera Micronesia, Guam è uno dei 17 stati Non-Self Governing degli Stati uniti d’America ed è considerato per la sua posizione un territorio di essenziale valore strategico, la «punta di lancia» delle politiche statunitensi nel Pacifico occidentale, in termini sia economici che – soprattutto – militari.

Così era anche alla fine del XIX secolo. Il dominio Usa inizia nel 1898, durante la guerra ispano-americana, e arriva a oggi con l’eccezione dei due anni e mezzo di occupazione da parte del Giappone, che invade Guam nel 1941, poche ore dopo Pearl Harbour. Mai prese sul serio a Washington le aspirazioni indipendentiste di una parte della popolazione Chamorro, discendente dei primi abitanti.

Se parliamo di europei il primo a sbarcarvi, nel 1521, fu Magellano. Ma la Spagna, al cui servizio si muoveva il navigatore portoghese, per la colonizzazione vera e propria aspetta oltre un secolo.

I 160 mila abitanti dell’isola oggi sono cittadini Usa a tutti gli effetti. Ma è ai ricchi turisti russi e giapponesi che il governatore Eddie Calvo guardava ieri, ostentando di fronte alle minacce nordcoreane una serenità pari all’oleografico stemma che campeggia sulla bandiera alle sue spalle.

Da Guam gli Usa mantengono salde le alleanze regionali e soprattutto tentano di arginare le ambizioni espansionistiche – anche qui, soldi e navi da guerra – della Cina. Per non dire dei 3 mila e rotti km che dista Pyiongyang: ne fanno almeno a parole un bersaglio potenziale – subito dopo le basi sudcoreane – del sistema missilistico nordcoreano.

La «portaerei fissa», come la chiamano al Pentagono, con i suoi B52 e i jet sempre pronti al decollo dalla base di Anderson, ha già servito con profitto le forze armate statunitensi alla fine della II Guerra mondiale, nelle guerre di Corea e Vietnam e per tutta la durata di quella «fredda». Lo sa bene Trump, che continua a incrementare il personale Usa sull’isola (circa 4 mila militari in tempi normali), considerandola alla stregua di un campo da golf tra le palme.