Travolto da decine di incontri al giorno, come una trottola sta girando tutta Roma. A meno di un mese dal voto Roberto Gualtieri, candidato del centrosinistra a sindaco di Roma, e l’uscente Virginia Raggi si contendono i voti uno ad uno per accedere al ballottaggio di metà ottobre.

Ieri un’altra polemica sulle periferie. L’ex ministro dem è stato a San Basilio, dove Raggi aveva aperto il 3 settembre la campagna con Conte. «Cara Virginia, mi hanno detto che li hai abbandonati». E la sindaca: «In quei luoghi neppure sanno chi sei».

Gualtieri, tra i tanti mestieri della politica il sindaco di Roma è uno dei più duri. Oggi più che in passato. Chi glielo ha fatto fare?

Direi l’avvilimento e la voglia di reagire. Ho vissuto dieci anni in Europa, ho girato per molte capitali e il confronto è sconfortante. Mentre a Roma non funzionano i servizi essenziali e aumentano le diseguaglianze sociali e territoriali, nelle altre città ci si misura con le sfide della lotta al cambiamento climatico, dell’economia della prossimità e della cura, di Superilles sociali come a Barcellona (isole pedonali riqualificate, ndr), di come collegare innovazione digitale e qualità del lavoro. Roma può essere governata bene e può guidare una stagione di cambiamento nel segno della sostenibilità, dell’equità e dell’inclusione.

In queste prime settimane di campagna che città ha trovato? Cosa l’ha colpita di più?

Mi ha colpito l’entità del degrado in ogni luogo della città e soprattutto nelle periferie. Ieri ero a San Basilio, e i cittadini denunciavano l’abbandono più totale, che pochi interventi spot in campagna elettorale hanno reso ancora più insopportabile. Ma mi ha colpito anche la ricchezza di un tessuto associativo diffuso che è una risorsa preziosa per ripartire.

C’è un tema che ha sollevato Giovanni Caudo. Il centrosinistra, se vincente, non potrà ripartire dal «dove eravamo rimasti?». In che cosa il Pd di oggi è diverso da quello del clamoroso flop del 2016? Cosa avete imparato, per citare Enrico Letta?

Abbiamo imparato che la cacciata di Marino è stato un errore. Che in una città come Roma bisogna fare politica per le strade, ascoltare le persone, ricucire le spaccature fra i quartieri, rifondare una comunità. Abbiamo imparato che il Pd, per risanare le enormi ferite, deve essere dentro una coalizione larga. Non un’ammucchiata acchiappavoti, ma un’alleanza delle forze di sinistra, progressiste, democratiche, solidali, ecologiste e civiche. Questa è la mia coalizione di sette liste, uscita dalle primarie e dal confronto sul programma.

Realisticamente, quanto tempo ci vorrà per vedere una città decente, senza rifiuti per strada e senza più strade e marciapiedi dissestati?

Abbiamo scritto sul programma che il piano straordinario per la pulizia darà frutti in 18 mesi, ma i primi risultati concreti si vedranno entro i primi sei mesi. Per la chiusura del ciclo dei rifiuti e la differenziata al 65-70% ci vorranno 5 anni.

Lei parla di una città dei «15 minuti». A Roma però quel lasso di tempo non è sufficiente neppure per l’arrivo di un bus. E per rifare una carta di identità bisogna prenotare almeno due mesi prima. Cosa si potrà realmente fare in 15 minuti?

La città dei 15 minuti è la frontiera dell’innovazione urbanistica, ambientale e sociale da Parigi a Barcellona a tante altre metropoli. Significa migliorare i trasporti e l’accessibilità investendo su trasporto pubblico, mobilità dolce e isole verdi, significa servizi di prossimità in tutti i quartieri: asili, biblioteche, parchi, aree sportive, spazi di co-working, assistenza sociosanitaria, luoghi di cultura. Significa valorizzare le reti sociali e territoriali, dando un ruolo anche ai negozi di quartiere, alle edicole, alle associazioni, al volontariato. Anche grazie alle risorse del PNRR tutto ciò è possibile.

Al netto delle polemiche elettorali, qual è il fallimento più grave della giunta Raggi?

Purtroppo sono molti: non aver realizzato progetti, aver toccato il minimo storico negli investimenti e nell’erogazione di servizi. Aver fatto la guerra al tessuto associativo della città, aver totalmente sacrificato il sociale e la casa, aver disertato tutti i tavoli europei e non aver dialogato con la Regione e il governo.

Conte ha detto che lei è stato «un buon ministro» ma va in tour con la sindaca Raggi. Questa ferita tra voi e il M5S si rimarginerà?

Con i 5 Stelle nel Conte 2 abbiamo ben governato, abbiamo negoziato assieme a Bruxelles per ottenere il PNRR, abbiamo fronteggiato l’uragano Covid. A Roma con la candidatura Raggi era impossibile collaborare non solo per la cattiva qualità dell’azione amministrativa ma perché qui ha prevalso un orientamento conservatore e di destra che invece che invece nel governo di cui ho fatto parte non c’era. Ma a livello nazionale l’alleanza fra Pd e 5 Stelle resterà, per impedire che il Paese finisca in mano della destra populista e nazionalista.

Roma è diventata sempre più la capitale delle disuguaglianze. Cosa intende fare, con i poteri di un sindaco, per ridurre le distanze sociali?

Noi proponiamo un patto per il lavoro di qualità con le forze e sociali ed economiche e a questo proposito raccolgo positivamente l’appello lanciato oggi dai sindacati. E poi politiche per la casa, riqualificazione delle periferie, e una centralità al tema dell’autonomia delle donne che subiscono in misura maggiore di tutti la fatica della vita nella nostra città.

La battaglia al primo turno sembra tutta tra lei, Raggi e Calenda. Non state sottovalutando la destra?

Siamo consapevoli che al ballottaggio ci misureremo con una destra forte e radicata che non va sottovalutata ma che siamo convinti di poter battere. Per la forza e la larghezza della coalizione, la serietà del programma, il livello dei candidati e della squadra, sono sicuro che andremo al ballottaggio e in Campidoglio.