Il nemico numero uno (almeno per ora) non è il candidato della destra Enrico Michetti. Ma la sindaca Virginia Raggi. È su di lei, «per arrivare bene al ballottaggio», che il candidato sindaco di Roma Roberto Gualtieri sta costruendo la sua campagna da qui al voto del 3 ottobre.

Ieri prima prova di piazza, alla Bocca della verità, a poche decine di metri dal Campidoglio che il Pd vuole riconquistare. Alcune centinaia i presenti, discreto il colpo d’occhio, stand per tutti i candidati alla guida dei municipi e per le liste che lo sostengono (sette in tutto).

AL SUO FIANCO, carico come una molla, Nicola Zingaretti, che parla tra i primi e mena fendenti alla sindaca, racconta di una città «umiliata», «dove vivere è faticoso», dove «non funziona più niente» e parla di «riscatto». «E meno male che la sanità non è una competenza del Comune, altrimenti avremmo visto una tragedia».

Il messaggio è bianco contro nero, Pd contro M5S, «buon governo vs cattivo governo»: «Noi siamo quelli che i problemi li risolvono, Gualtieri avrà al suo fianco una regione che aiuterà la Capitale». «È una battaglia per noi romani, per la salvezza della nostra città», attacca l’ex segretario Pd che loda il candidato sindaco: «Nel momento più buio del Covid lui ha firmato la cassa integrazione per gli italiani senza lavoro».

«Ce la metterò tutta per dare una mano», chiude il governatore, a testimoniare che questa è anche la sua battaglia, quella che per due volte (nel 2013 e ancora quest’anno) per varie ragioni non ha potuto combattere.

TRA I TESTIMONIAL BRILLA la sindaca di Barcellona Ada Colau, che per tutto il giorno è stata a fianco di Gualtieri lodando la sua «onestà e competenza». Colau bolla Raggi (che domani sarà nella periferia di San Basilio con Conte) come la sindaca «che ha fatto sparire Roma dai tavoli internazionali delle grandi città». «Ho incontrato tante volte Beppe Sala, lei no».

Da Colau Gualtieri ha mutuato l’idea di una «città dei 15 minuti», ovvero della prossimità, con i servizi (dai parchi alle biblioteche alla sanità) più accessibili di oggi. Ma anche il candidato parte dalla realtà, «dai cumuli di immondizia», «i pesci morti nel Tevere», i cinghiali, le erbacce, le strade da rifare. «Spero che sia l’ultima volta che una campagna elettorale deve misurarsi sull’ordinaria amministrazione, su cose di cui nelle altre capitali neppure si parla perché è normale che funzionino».

Ed è proprio questa la sfida di Gualtieri, tenere insieme il ripristino della macchina comunale con una «visione» di capitale europea. Che, grazie ai soldi del Recovery, possa provare a guardare oltre, a darsi un ruolo in gradi di «attrarre persone e investimenti».

ANCHE NEL RETROPALCO si inizia a respirare un timido ottimismo. «Serve un voto utile per arrivare al ballottaggio dove troveremo la destra, che è sempre quella di Alemanno e Storace», avverte Gualtieri. Vedo nascere sentimenti di fiducia e speranza al posto della cupa rassegnazione che regnava». «Roma merita un sindaco che si faccia sentire, anche nei confronti del governo. Quando ero ministro tanti sindaci mi chiamavano per dire la loro, mai Raggi».

LE PROMESSE NON mancano, dal milione di alberi da piantare fino all’eliminazione dei cassonetti, sostituiti dalla raccolte dei rifiuti porta a porta. E ancora: una «città delle donne» che rispetti i tempi di vita e di lavoro. Gualtieri annuncia una campagna «umile e determinata» e chiude a ogni ipotesi di accordo col M5S al secondo turno: «Noi abbiamo già unito il centrosinistra, non faremo apparentamenti al ballottaggio».

PRIMA DI LUI SI ALTERNANO sul palco i sette capolista. C’è Giovanni Caudo, arrivato secondo alle primarie con una dura campagna contro il Pd (sostenuta da Ignazio Marino), che oggi ha stretto un patto di lealtà con Gualtieri: «Il centrosinistra è cambiato, in meglio. Ma guai se dovessimo vincere e ripartire da dove eravamo rimasti, bisogna ricostruire la fiducia degli elettori».

C’è anche Bobo Craxi, che guida una lista socialista e tuona dal palco contro il «capitalismo globale autoritario» e la destra che «ci ricorda il totalitarismo fascista» e bastona Renzi e Calenda che «non sono in grado di andare oltre i partitini personali».

Giù il sipario, parte la colonna sonora della campagna, «I nostri anni» di Tommaso Paradiso, una sorta di «Gli anni» di Max Pezzali in versione capitolina, nostalgia e spirito di gruppo. E del resto «noi» è la parola chiave di Gualtieri.