«Nello stato di diritto non decide il governo ma la magistratura». E vale anche di fronte al potere assoluto del sultano Recep Tayyip Erdogan. È la soluzione del «caso Böhmermann» secondo Angela Merkel, che ieri ha autorizzato i giudici tedeschi a dare seguito alla denuncia del presidente turco contro il comico tedesco, colpevole di averlo messo alla berlina. Formalmente, per quanto medievale possa suonare, l’accusa è quella di «lesa maestà» e nel caso di Erdogan pare davvero cucita su misura.

L’autore del «poema diffamatorio» trasmesso il 31 marzo dalla tv pubblica Zdf – attualmente sotto scorta della polizia – rischia 3 anni di galera per le «offese a un capo di stato straniero» e fino a 5 anni se verrà provata la volontà diffamatoria della sua satira.

È l’epilogo dell’affaire che ha fatto calare il gelo politico e diplomatico tra Berlino e Ankara e innescato una guerra fredda che rischia di fare vittime ma solo sul fronte tedesco. La decisione ufficiale, partorita dopo 5 giorni di febbrili consultazioni tra Cdu-Csu e Spd, è tutt’altro che condivisa all’interno della Grande coalizione.

E infatti l’alleanza rosso-nera si spacca in due. «Nel ventunesimo secolo la lesa maestà non dovrebbe essere un crimine. Mi sarei aspettato che il governo difendesse la libertà di opinione, a prescindere dal gusto personale», sintetizza il vice presidente Spd Ralf Stegner perfettamente allineato al resto del partito. «L’abolizione dell’antiquato articolo 103 è una questione prioritaria per l’Spd: verrà portata all’attenzione del Bundestag già alla fine della prossima settimana», promette il capogruppo dei socialdemocratici Thomas Oppermann che intende accelerare l’iter fissato al 2018.

Fa il paio con i «dubbi» espressi nei giorni scorsi dal ministro degli esteri Frank Walter Steinmeier «scettico sull’utilizzo del diritto penale per dirimere la questione» che ha investito per primo e direttamente il suo dicastero. Eppure, tecnicamente, la luce verde del governo tedesco al processo contro Jan Böhmermann è ineccepibile.

Tanto che più stretti collaboratori della cancelliera fanno sapere di non aver potuto agire diversamente per non offrire il destro al governo turco pronto a sostenere che diritti e doveri stabiliti nella legge tedesca non vengono applicati.
Difesa d’ufficio, non senza imbarazzi, che non allontana, anzi, la tesi secondo cui «la Germania si è piegata alle intimidazioni della Turchia» sostenuta dall’opposizione anche extraparlamentare.

Il vice presidente dei Verdi Konstantin von Notz parla apertamente di «cedimento di fronte a un ricatto» e imputa a Merkel di «non aver assunto un atteggiamento chiaro, utilizzando un doppio standard sulla violazione dei diritti che in Turchia riguarda quelli umani».

Per i Grünen il «poema diffamatorio» recitato da Böhmermann è «mediocre e primitivo» ma non giustifica la censura (il video della trasmissione satirica è stato cancellato dalla mediateca di Zdf) né a processare la satira. Ancora più dura la leader parlamentare della Linke Sahra Wagenknecht, contraria alla genuflessione di Mutti al sultano di Ankara: «Piegarsi alla sua richiesta è intollerabile: Merkel prima ha baciato il tiranno turco, poi ha sacrificato la libertà di stampa in Germania».

Si aggiunge al “conio” del deputato Linke Sevim Dagdelen che battezza Erdogan «il despota del Bosforo». In difesa della libertà di opinione anche i liberali di Fdp. Il presidente del partito Peter Lindner fa sapere. «Frau Merkel avrebbe dovuto rappresentare l’interpretazione tedesca della libertà di espressione». Attacchi a tutto campo, che costringono l’Spd a sottolineare come «la decisione sia stata assunta con i voti contrari del partito socialdemocratico».

A difesa di Merkel solo l’Unione cristiano-democratica per bocca del capogruppo Volker Kauder, sostenitore dei limiti alla libertà di parola. «Il governo federale ha agito correttamente: a un comico è permessa qualunque cosa ma non offendere deliberatamente. Il confine tra satira e diffamazione? Lo stabiliranno i nostri tribunali». Così anche Peter Tauber, segretario generale Cdu che ricorda: «L’esecutivo prende sul serio la legge. Anche quando fa male».

Intanto fuori dal Bundestag non si ferma la petizione online a favore di Jan Böhmermann in rete da domenica. L’appello lanciato dalla blogger Christine Doering sulla piattaforma change.org ha già raccolto oltre 100 mila firme (da consegnare al Bundestag) di chi non ci sta a sacrificare la libertà di espressione sull’altare della «Südpolitik» di Merkel.

Tuttavia per Mutti il rapporto con il sultano rimane imprescindibile. E la cancelliera è pronta a pagare qualunque prezzo pur di non far saltare l’accordo sui migranti che le permette di non fissare un tetto massimo ai profughi in Germania. In altre parole, e detto alla turca, «il camino può essere anche storto. Basta che il fumo esca dritto».