Raro trovare pensatori che attraversano un percorso collocato sul confine fra apocalittici e integrati, per recuperare una celebre distinzione di Umberto Eco. Richard Grusin si muove in modo ammirevole su questa linea. Il libro appena uscito – Radical Mediation Cinema, estetica e tecnologie digitali, edito da Luigi Pellegrini per la cura della giovane e brillante filosofia e mediologa Angela Maiello (pp. 290, euro 18,00) – riunisce alcuni saggi, pubblicati tra il 2004 e il 2016, di uno dei più influenti teorici dei media viventi. Grusin è noto al pubblico italiano come co-autore di uno dei testi fondativi della teoria sui nuovi media: si tratta di Remediation, scritto a quattro mani con Jay David Bolter e uscito nel 1999 negli Stati Uniti.
Bolter e Grusin sostenevano che un medium va considerato sempre come la «rimediazione» di un medium precedente: così le regole, le forme espressive, i messaggi, e via discorrendo, di un vecchio medium (la televisione, poniamo) sono ripresi e rielaborati da un nuovo medium (il web). Il processo non va mai in una sola direzione: vecchi e nuovi media ridefiniscono in questo modo gli ambiti di competenza. È così possibile concepire un medium non come operatore di una serie di processi, ma come il loro risultato: il prodotto, appunto, di una rimediazione.
Minaccia terroristica, possibilità imminente
Grusin sviluppa questo nucleo teorico secondo alcune direttrici, di cui il presente libro offre una visione d’insieme: possiamo distinguere almeno tre nuclei principali della sua riflessione. Il primo rinvia al concetto di «premediazione». L’idea è che dopo l’attentato dell’11 settembre l’establishment americano abbia dato vita a una sorta di «biopolitica mediatica», che mantiene attiva la minaccia terroristica come possibilità imminente per consentire alla massa di telespettatori e utenti della rete di elaborare preventivamente il trauma dell’attacco. Scrive l’autore: «Come una sorta di reazione culturale, dall’11 settembre in poi il desiderio dominante è stato quello di assicurare che il futuro, quando arriva, sia già sempre rimediato, in modo da vederlo non come esso emerge dall’immediatezza del presente, ma prima che possa accadere». Al tema della premediazione è dedicato anche l’interessante saggio Premediare il cambiamento politico: il caso #occupywallstreet, che muove alla sinistra liberal americana la critica di essersi preoccupata di occupare lo spazio mediatico del dibattito, senza aver innescato un processo di cambiamento del sistema economico-politico.
Il secondo nucleo teorico rintracciabile nel volume va sotto il nome di «mediashock». Scrive Grusin: «I media digitali vengono utilizzati per sollecitare individui e gruppi a riunirsi o disperdersi in eventi mediatici, temporalmente e spazialmente eterogenei». Siamo in continuità con la politica della premediazione. Ora però è reso esplicito il sostrato percettivo e affettivo dell’azione dei media: come avevano già indicato Benjamin e McLuhan, i media sono formidabili mezzi di riorganizzazione della sensibilità. E, aggiunge Grusin, ridisegnano la temporalità dei soggetti, nel senso che consentono a coordinate spazio-temporali eterogenee di convivere, dando vita a situazioni d’esperienza completamente inedite: «Ci sono sempre temporalità e formati mediali alternativi e sovrapponibili», afferma Grusin.
Il terzo concetto su cui si articola la proposta di Grusin è quello della «mediazione radicale» che dà il titolo al volume. Si tratta del concetto di più ampio respiro filosofico. Grusin riprende da William James l’idea del carattere primario della relazione rispetto a oggetti e soggetti correlati. La mediazione radicale descrive realtà e soggettività che emergono in quanto poli di relazioni che le precedono e ne determinano la natura. Scrive Grusin: «Il nucleo della mediazione radicale consiste nella sua immanenza, nell’immediatezza stessa – non l’immediatezza trasparente che costituisce una delle due facce della doppia logica della rimediazione, bensì l’immediatezza incarnata che caratterizza l’evento della mediazione». Tale pensiero sui media è in dialogo con molta filosofia del ventesimo secolo, dal già citato James a Whitehead, da Simondon a Deleuze. Attraverso lo studio dei media è così possibile riattivare una riflessione sulla condizione umana, sul modo prettamente umano di essere nel mondo.
La tarda epoca del cinema delle origini
Un’ultima osservazione sull’estetica. Fin qui si è parlato di estetica intendendola come una teoria della percezione e della sensibilità. Questo non significa però eliminare qualsiasi riferimento all’arte, che non è più il referente esclusivo del discorso estetico, ma costituisce piuttosto il luogo privilegiato dove ripensare la storia e le prestazioni dei media. E il cinema, insieme dispositivo tecnico e forma espressiva dell’immagine, si presta particolarmente bene ad attivare questo gioco tra estetica e media. Nel saggio La rimediazione nella tarda epoca del cinema delle origini Grusin mostra come la storia del cinema si configuri sin dalle origini come una storia di convergenze e divergenze con i media. È a partire da questa eccedenza di principio che il cinema può diventare un luogo di continuo ripensamento teorico e di sempre rinnovata sperimentazione dei dispositivi mediali e delle loro condizioni di mediazione dell’esperienza umana.