A difendere Yarmouk sono i rifugiati palestinesi: dopo l’avanzata dello Stato Islamico nel campo profughi a sud di Damasco, ieri i gruppi armati palestinesi hanno ricacciato indietro i miliziani dell’Isis. Lo rende noto l’Afp, secondo la quale a sostegno dei residenti sarebbero scesi in strada anche ribelli siriani. Mercoledì la notizia dell’occupazione di oltre la metà di Yarmouk da parte dell’Isis aveva gettato nel panico molti attori della guerra civile siriana, dal presidente Assad che si è ritrovato il califfato a pochi km, alle opposizioni moderate, ormai quasi inesistenti sul campo di battaglia.
All’avanzata islamista è seguita una notte di scontri che hanno provocato almeno 6 morti e 17 feriti. Ma a difendere quel poco di dignità che restava loro, dopo due anni di assedio da parte sia del governo di Damasco che delle opposizioni, affamati e uccisi dalla denutrizione, sono stati gli stessi rifugiati. Armati di coltelli avrebbero attaccato gli islamisti di al-Baghdadi, costringendoli alla ritirata. Eppure, secondo testimoni locali, sarebbe stati centinaia i miliziani entrati a Yarmouk, resi subito visibili dalle bandiere nere issate sugli edifici del campo. Un incubo per i 18mila rifugiati rimasti a vivere a Yarmouk, casa prima della guerra civile a 180mila palestinesi.
Yemen, gli sciiti prendono Aden
Giornata campale anche per lo Yemen, dove in corso c’è un doppio conflitto: una guerra civile tra ribelli sciiti Houthi e potere centrale da una parte, la guerra fredda tra Iran e Arabia Saudita dall’altra. Nonostante sia già trascorsa una settimana dai primi bombardamenti sauditi, che ininterrottamente hanno colpito le postazioni Houthi e ucciso oltre cento civili, la ribellione Houthi non appare ancora stroncata: ieri il movimento sciita è entrato nella città portuale di Aden, principale via di transito del greggio del Golfo diretto in Europa e capitale provvisoria del governo del presidente Hadi.
La presa di Aden indebolisce la macchina da guerra saudita e il messaggio propagandistico lanciato dalla “coalizione dei volenterosi” anti-sciita: Riyadh non sta difendendo efficacemente il governo Hadi, suo figlioccio, in un conflitto la cui fine pareva già decisa una settimana fa al summit della Lega Araba. Un punto a favore del nemico Iran, reale preda dei raid, che in disparte – reagendo all’operazione ufficialmente solo a parole – vede gli alleati Houthi non arretrare.
Target immediato e simbolico dell’avanzata Houthi è stata l’occupazione del palazzo presidenziale di Aden, dove Hadi si era rifugiato a febbraio prima di fuggire dal paese, caduto dopo duri scontri: testimoni raccontano di carri armati Houthi dispiegati nel centralissimo quartiere di Crater e di corpi senza vita per le strade intorno al palazzo, risultato dei conflitti a fuoco tra gli sciiti e i fedelissimi dell’ex presidente Saleh da una parte, e dall’altra le forze del presidente Hadi, a cui si sono aggiunti residenti di Aden e tribù sunnite locali.
Medici Senza Frontiere parla di almeno 500 feriti che affollano gli ospedali della città, seppur Riyadh tenga a precisare che la propria aviazione sta facendo di tutto per evitare vittime civili: la coalizione «sta usando tutte le risorse di intelligence per non colpire il target sbagliato», ha detto ieri il generale Asir, portavoce del fronte anti-sciita. Risorse a quanto pare inefficaci: dopo il raid contro un campo profughi a nord, mercoledì almeno 35 lavoratori sono morti nel bombardamento di una fabbrica casearia nella città costiera di Hudaydah. Una violenza che sta costringendo i civili a cercare rifugio fuori dal paese: decine di persone a bordo di piccole imbarcazioni hanno lasciato la costa yemenita, verso la Somalia e il Gibuti.
Mentre i ribelli prendevano Aden, dal porto sbarcavano decine di truppe, probabilmente straniere, seppure ad ora non sia chiara la nazionalità. Funzionari governativi yemeniti hanno smentito l’arrivo in città di soldati che i locali additano come sauditi o egiziani. Se fosse così, si tratterebbe del via – in incognito – all’operazione via terra prospettata la scorsa settimana dal presidente egiziano al-Sisi. Ma lo scontro sul campo, tra soldati sauditi e combattenti Houthi, è già concreto: ieri un militare dell’esercito di Riyadh è stato ucciso e altri 10 sono rimasti feriti al confine con lo Yemen, a seguito di scontri a fuoco con miliziani alla frontiera.
Alle azioni Houthi e a quelle straniere si è aggiunta ieri anche l’ingente operazione condotta dal braccio yemenita di Al Qaeda, la più ampia mai organizzata, sintomo del crescente potenziale qaedista in un paese nel caos: miliziani islamisti hanno attaccato numerosi edifici e sono entrati nella prigione di Mukalla, a 500 km da Aden e ancora sotto il controllo del governo, liberando almeno 250 prigionieri. Tra loro molti qaedisti e uno dei leader del gruppo, Khaled Batarfi, detenuto da 4 anni.