Il pubblico è in mezzo a sei palchi disposti ad ovale. Nel buio se ne illumina per primo uno, e il percussionista che lo occupa comincia con scariche secche, poi via via si illuminano ed entrano in gioco gli altri cinque percussionisti, ciascuno sul proprio palco, col suo arsenale di strumenti. Tendenzialmente i sei palchi non intervengono mai tutti insieme: in un avvicendamento continuo dell’emergere di uno dopo l’altro, in fasi successive i sei percussionisti procedono con modalità fondamentalmente omogenee: nella fase iniziale appunto con scariche secche; poi con singoli colpi, abbastanza radi, sulle grancasse, e con rulli prolungati; poi con il prevalere di piatti e percussioni metalliche, percossi o sfregati con archetti; e così via. Nei momenti più concitati è come se il suono ruotasse vorticosamente intorno, come essere circondati da corpi che sfrecciano fragorosamente.

Poi le percussioni ad un certo punto si placano, e si distingue una specie di palpitazione, come di un essere vivente, ipnotica. Ma nessuno dei percussionisti si sta muovendo, i palchi sono al buio: quello che si sente sotto la enorme volta nera dell’Hangar Bicocca, fra i Palazzi Celesti di Anselm Kiefer, è il battito di una pulsar, una stella di neutroni. Gérard Grisey, il compositore francese (1946-1998) su cui è stata focalizzata la 25a edizione del festival di Milano Musica, ha voluto inglobare i suoni delle pulsar nel suo Le Noir de l’Étoile, lavoro dell’89-90 nato proprio dalla, e intorno alla, suggestione di questi segnali dal cosmo che un astronomo gli aveva fatto ascoltare.

Grisey ha cercato nella composizione una coerenza con la natura delle pulsar: dunque percussioni, e solo percussioni di pelle e metallo, escludendo le tastiere, e dunque una composizione imperniata sui concetti di rotazione, periodicità, rallentamento e accelerazione, e slittamento, che le pulsar suggeriscono.

Ne è nata un’ora di musica tanto severa e rigorosa quanto profondamente avvincente e fascinosa, che ha trovato in Les Percussions de Strasbourg degli interpreti formidabili e nell’Hangar Bicocca uno spazio congeniale ad esaltare l’idea di Grisey. Milano Musica, che si è aperta (9 ottobre) e chiusa (21 novembre) alla Scala, conferma la sua intelligente politica di articolazione dei luoghi in cui propone i suoi appuntamenti, funzionale anche a rimescolare le carte del pubblico della contemporanea: come in uno degli ultimi concerti della rassegna si è visto in un Planetario pieno di giovani per ascoltare l’italiano Vagues Saxophone Quartet in brani di Grisey, Xenakis, Cosmi.

Ma, manifestazione di livello encomiabile, risorsa imprescindibile per la città, Milano Musica cerca di innovare non solo sulle sedi. Per esempio anche con una scommessa come quella di far eseguire dei brani del ’76 di Grisey “per orchestra di principianti” ad una ampia compagine di bambini e ragazzi composta per l’occasione con allievi di diverse scuole di musica di Milano e dintorni e diretta con passione da Carlo Taffuri: musica tutt’altro che banale, e un ascolto molto interessante non solo per l’esperienza didattica che c’era dietro.