Lo scorso autunno Beppe Grillo attraversò a nuoto lo Stretto e sbarcò a Messina. Fu l’inaugurazione, in stile libero, della campagna elettorale per le regionali siciliane, che fruttò al suo movimento ben 15 consiglieri (uno è stato già espulso per la solita storia degli scontrini che non tornano) su 90, e creò la premessa per il grande risultato delle politiche.

Un vero successo per i pentastellati, che però non si è ripetuto alle amministrative di due settimane fa. Ora tocca alla Sicilia, dove domenica e lunedì si vota per il primo turno in 141 comuni su 390, e i grillini ci tengono a fare bella figura, tanto che il comico è tornato con il suo camper nelle piazze (ma solo nei piccoli comuni, con l’eccezione di Ragusa) collezionando in cinque giorni qualche magra figura nelle sue dieci tappe: a Piazza Armerina, poche sere fa, nel bel mezzo di un comizio ha cacciato via cameraman e giornalisti, i nuovi bersagli di una strategia che può ignorare gli avversari ma che ha bisogno di nemici sempre freschi. Magari cercati con la torcia, come accade a Capaci, comune del Palermitano, dove il candidato Cinquestelle Pietro Salvino vuol rischiarare la notte per attuare il suo progetto che ha intitolato «Filmarli per fermarli».

In questo scorcio di campagna elettorale, dalla sera di mercoledì, nel paese tristemente famoso per la strage del 23 maggio ’92, è partita la caccia al voto di scambio, scatenando le «pattuglie della legalità», come le chiama Salvino, munite di telefonino e videocamera che riprenderanno chiunque cerchi di comprare il voto per strada. «Qui – spiega – per catturare il consenso sono arrivati a distribuire anche lavatrici».

A Messina (uno dei capoluoghi chiamati al voto, insieme Siracusa, Ragusa e Catania), dove Grillo non è andato, neanche «disarmato», si continuano a distribuire sogni a forma di ponte, nonostante il trentennale progetto sia finito nel nulla, bruciando finora 383 milioni di euro, esattamente la cifra dell’attuale indebitamento del Comune. Per il leader Cinque Stelle sarebbe stato difficile spiegare ai cittadini la ragione per la quale ha contrapposto una propria candidata (Maria Cristina Saija) a Renato Accorinti, insegnante, storico ambientalista e pacifista, l’uomo che ha condotto una strenua battaglia contro la realizzazione del ponte sullo Stretto e che corre con il sostegno di un’unica lista, che porta il suo nome e senza sigle di partito.

La ragione di questa presa di distanza non la capiscono neanche gli elettori di Grillo, indicati loro malgrado come gli avversari di Accorinti, con il quale hanno condiviso per anni le stesse battaglie. A Messina, comune commissariato e ormai alla vigilia della dichiarazione di fallimento, il ponte è ancora oggetto della campagna elettorale del candidato Pdl, Enzo Garofalo, e del suo concorrente del centrodestra, Gianfranco Scoglio, un ex assessore sostenuto dall’ex sindaco della bancarotta Giuseppe Buzzanca, fedele alleato dell’ex senatore Domenico Nania: un corto circuito di ex.

Il centrosinistra, sotto l’ala protettrice del deputato Francantonio Genovese, ras delle preferenze (19 mila voti alle primarie del Pd alle scorse politiche), presenta Felice Calabrò, ex capogruppo dei democratici al Comune, che ha dalla sua parte anche il tiepido neo ministro messinese Giampiero D’Alia, la sola risorsa rimasta a Pierferdinando Casini dopo la batosta elettorale alle politiche. A sostegno di Calabrò ci sono anche un po’ di ex della coalizione avversa. La guerra tra i due schieramenti sarà pure finita, come ha annunciato Berlusconi un paio di giorni fa, ma il fatto è che a Messina non è mai cominciata. Nella città alluvionata (37 morti nel 2009) e indebitata, chiunque arrivi a palazzo Zanca dovrà fare i conti con un bilancio disastroso, con i servizi ridotti al lumicino: in un luogo stiracchiato tra Jonio e Tirreno, i 245 mila abitanti possono contare su 16 mezzi pubblici, fra tram e bus, perché l’azienda trasporti, che conta 590 dipendenti, affoga in un debito di 70 milioni e non ha neanche i soldi per comprare benzina e pezzi di ricambio.

Per Grillo, a Messina, la partita è persa già dal primo turno. E sorprese non ce ne saranno neanche a Catania, dove Enzo Bianco prova a fare il sindaco per la terza volta, a 13 anni di distanza dall’ultimo mandato, frutto di una guerra fratricida con Claudio Fava. Catania divide con Palermo il raro «privilegio» di ritrovarsi, dopo un quarto di secolo, due dinasti senza eredi: Leoluca Orlando ed Enzo Bianco, nella cui coalizione c’è dentro di tutto: dagli uomini fino all’altro ieri legati a Raffaele Lombardo, ai neo rivoluzionari di Antonio Ingroia. Tutti contro Raffaele Stancanelli, esponente del Pdl, ma soprattutto ex Msi ed ex An, incolore «gestore» di un’amministrazione già spogliata dal suo predecessore Umberto Scapagnini, scomparso lo scorso aprile. Ce la farà Bianco? Pare di sì, e la sua ambizione è quella di essere eletto al primo turno. E soprattutto, all’ombra dell’Etna il centrosinistra non ha i problemi che è costretto ad affrontare nei comuni dell’Ennese, dove il «Megafono», la lista creata dal governatore Crocetta, si contrappone ai democratici guidati – ormai per tradizione – dall’ex senatore Vladimiro Crisafulli, scaricato da Bersani alle scorse politiche ma per nulla rassegnato.

La guerra l’ha dichiarata Beppe Lumia, al quale Crocetta ha cucito addosso la lista Megafono per consentirgli di essere rieletto al Senato. Il parlamentare vuole la resa dei conti con il suo acerrimo nemico, già spodestato del seggio per aver intrattenuto rapporti con un capomafia della zona. La guerra tra i due ha creato non pochi imbarazzi a Crocetta, che due giorni fa ha cercato di tranquillizzare i vertici del suo partito, il Pd, appunto, spiegando che farà campagna elettorale solo nei comuni in cui Megafono e democratici sono alleati.