Si potrebbe cominciare cercando una via di mezzo tra «l’incubo assembleare» che adesso riconoscono anche i parlamentari del Movimento 5 Stelle, costretti in lunghe assemblee quotidiane dove si vota per come votare e per quando votare (nessuna ironia è autorizzata a sinistra), e il decisionismo di Beppe Grillo che non si accontenta più di dettare la linea agli eletti del suo movimento e prova a imporla anche agli elettori. Si potrebbe, ma si rischierebbe così di non cogliere il legame che c’è tra questi due aspetti delle dinamiche grilline. Il cesarismo in fondo si fa forza dell’assemblearismo, che tiene impegnata la «macchina» della delegazione parlamentare e nel frattempo diffonde nell’etere e nella rete una parvenza di democrazia interna.

L’uscita di Grillo contro gli elettori che avrebbero sbagliato a votare 5 stelle se adesso avanzano dubbi sulla linea «isolazionista» è allora rivelatrice. È insieme l’ammissione che un malcontento nella «base» esiste realmente – non è solo opera dei troll – ma che non è possibile una sintesi tra chi vuole far giocare il movimento nel campo della politica per come è adesso e chi invece punta al dissolvimento del campo e di tutti i suoi giocatori. La sintesi è solo nell’iniziativa del leader, frenetica anche per coprire le difficoltà appena vengono fuori – ieri per esempio i commenti all’intervista del primo «dissidente» parlamentare sono stati immediatamente reindirizzati sul più comodo tema della privatizzazione della Rai. Per cui è fatica sprecata cercare una coerenza nella successione delle esternazioni di Grillo, provare a tenere insieme la dichiarata sovranità del dibattito in rete e l’annuncio che chi dissente è in errore, l’apertura ai militanti di Casapound e la chiusura a chi tutto sommato vedrebbe bene un presidente della Repubblica condiviso con il Pd e Sel.

L’ortodossia grillina vuole che i parlamentari si impegnino allo stremo nello studio delle proposte di legge, ma non si concedano dubbi sulle scelte politiche di fondo. I marò in India e i debiti della pubblica amministrazione sono certamente cose assai importanti – per citare due argomenti sui quali deputati e senatori a 5 stelle hanno fatto bella figura in parlamento – ma la scelta del capo dello stato per i prossimi sette anni non lo è meno. Di questo però non si parla, a meno di non accettare, come il capogruppo al senato, il quotidiano passo indietro dopo la correzione imposta dal blog. O a meno di non avere la forza di reggere il dissenso, come può accadere agli eletti che hanno alle spalle precedenti militanze politiche – variante non purissima del «cittadino» a 5 stelle. È vero, nessuno poteva aspettarsi un Beppe Grillo cultore della libero pensiero: in piena campagna elettorale invitò anche gli interni al movimento che facevano troppe domande ad andare «fuori dalle palle». Ma il modo in cui Grillo e Casaleggio si chiudono all’ascolto dei loro stessi parlamentari non lascia presagire un futuro sereno per il movimento. L’ostilità produce scontri e poi rotture, prevederle non è difficile.

A chi chiede maggiore condivisione, Grillo continua a rispondere nominando motu proprio nuovi commissari alla comunicazione. Eppure potrebbe essere indotto a una maggiore prudenza proprio dal diffondersi della «fronda». Qualche segnale c’è: era stato infatti stabilito che chi avesse votato in dissenso dal gruppo si sarebbe dovuto dimettere, ma chi ha votato Grasso è stato «perdonato». Si era annunciata la radiazione degli ospiti dei talk-show, ma per il primo ospite è stato chiuso un occhio. E ieri sera dal blog non era ancora piovuto l’anatema contro il deputato Tommaso Currò. Chissà che Grillo oggi non riesca a convincere ancora tutti i suoi parlamentari, o tutti quelli che lo incontreranno alla periferia di Roma. Convocati, però, senza renderli edotti del luogo. Un mezzo sequestro. Colpa, al solito, dei giornalisti.