Danilo Toninelli, capogruppo al senato, lo dice chiaramente: «Dopo la giornata di oggi siamo ottimisti per le trattative future». Gli imbarazzi per il voto alla berlusconiana Elisabetta Casellati passano in secondo piano rispetto a quella che nel M5S viene considerata una giornata «storica». L’elezione di Roberto Fico allontana i timori e rompe la sindrome di accerchiamento. E’ davvero difficile che in un clima del genere si facciano sentire le voci più critiche. Il ragionamento che pare aver fatto breccia tra i grillini è contenuto nel solito involucro di radicalità ma trasuda pragmatismo.

Perché se anche volessimo mettere in una categoria a sé stante il M5S, ci troveremmo davanti al parlamento che probabilmente è il più sbilanciato a destra dell’intera storia repubblicana. Con questa composizione, Luigi Di Maio per andare al governo deve quantomeno accettare, se non proprio assecondare, la composizione del voto. Non partono da zero, i 5 Stelle, visto che il dispositivo comunicativo messo in piedi in questi anni si presta al camaleontismo elogiato da Grillo all’indomani delle elezioni. Da qui scaturisce l’assetto uscito dall’intesa sulle presidenze delle camere. Anche se la strada che conduce a Palazzo Chigi è ancora lunga e piena di insidie. Tanto che Di Maio ha avuto bisogno di coprirsi a sinistra, piazzando alla terza carica dello stato il suo amico-nemico Roberto Fico. All’assemblea degli eletti che ha salutato la sua designazione alla presidenza della camera con una standing ovation, Fico ha reso onore al suo fratello-coltello: «Il nostro candidato alla presidenza del consiglio è Luigi Di Maio, è giusto che sia lui a mettere in atto il nostro programma». Eppure solo qualche settimana fa lo stesso Fico affermava: «Salvini non è un interlocutore credibile, fino a ieri era razzista nei confronti del Sud». Ma ci si trovava in campagna elettorale e negli ultimi giorni i toni paiono più sfumati. Il deputato Luigi Gallo di Torre del Greco, come Fico ha una formazione di sinistra, viene dal mondo del commercio equo e solidale e fu tra i pochi a sfidare apertamente la dicitura di «capo politico» attribuita a Di Maio.

ualche giorno fa ha ammorbidito i toni: «Noi mai con la Lega? Non so se ho fatto questa dichiarazione in passato, ma non mi pare. In questa fase è nostro dovere parlare con tutte le forze politiche. Undici milioni di persone hanno votato per il nostro programma, in base a quello ci confronteremo».

Ecco, il programma. Nella scorsa legislatura grillini e leghisti si sono trovati spesso a votare assieme su temi come la sicurezza, i migranti, l’economia. Era un’altra fase, stando all’opposizione può capitare di convergere contro il governo. Ma se davvero la maggioranza di ieri, con un centrodestra a trazione leghista e il M5S, dovesse sfociare in una coalizione di governo, quelli sarebbero i punti d’incontro. Magari per un governo che all’inizio avrebbe come obiettivi minimi la nuova legge elettorale e alcune urgenze.

Ieri Beppe Grillo ha incontrato Di Maio assieme all’extraparlamentare Alessandro Di Battista, ai pretoriani Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, all’uomo dei rapporti con le imprese del nord Stefano Buffagni e a Pietro Dettori, considerato vicino a Davide Casaleggio. Dal garante è arrivato il via libera alla linea di questi primi giorni di legislatura: «Trattative con chi ci sta, per affrontare questioni concrete».
Inutile dire che il filo diretto con Salvini collaudato in questi giorni assomiglia molto a una linea preferenziale. Giu. Sa.