Tanto nell’aria era la batosta in arrivo dalle urne, quanto era prevedibile la reazione di chi ormai non ce la fa più a vedere gli elettori andarsene via senza dire niente. E attesa com’era, la rivolta non si è fatta pregare. Forse non è nemmeno un caso se il primo a manifestare malessere per il pessimo risultato ottenuto dal M5S in queste elezioni regionali è un uomo vicino al sindaco di Parma Federico Pizzarotti come Marco Bosi. «Come temevo di autocritica neanche l’ombra – scrive il capogruppo del M5S al comune di Parma – E chi se ne importa se sei mesi fa ci votavano 277.000 persone in più. Avanti così».
E’ solo l’inzio. Dopo Bosi seguono a ruota i deputati dissidenti Tommaso Currò, Walter Rizzetto, Tancredi Turco, Sebastiano Barbanti e Gessica Rostellato, ma anche l’ex consigliere in Emilia Romagna Andrea Defranceschi, espulso di recente. Tutti d’accordo nel chiedere un ripensamento della linea politica imposta in questi mesi da Grillo e Casaleggio al movimento e magari anche un passo indietro da parte loro. Anzi Turco lo dice chiaro e tondo. «Quando i risultati non sono soddisfacenti è giusto che chi ha tenuto il timone della barca lasci il posto a qualcun altro», va giù duro il parlamentare calabrese. E intanto una prima testa salta davvero ma al contrario, per protesta. E’ quella di Luigi Camporesi, consigliere comunale di Rimini che vista l’impenetrabilità dei vertici del Movimento decide di lasciare. «È un gravissimo fallimento, deve fare pensare. Non vedo questa disponibilità all’autocritica soprattutto nella parte che più ha peso nelle decisioni del Movimento, e quindi ho pensato di dare un segnale forte», spiega Camporesi.
A generare tanta rabbia non è solo il deludente risultato elettorale. Quello in qualche modo era nel conto, tanto che Grillo stesso venerdì sera a Bologna aveva detto chiaro e tondo che conquistare cinque consiglieri in Emilia Romagna sarebbe stata una grande vittoria. E cinque sono stati, a ulteriore riprova di come il leader sappia fiutare bene da che parte spira il vento. Peccato che l’aver preso cinque consiglieri, contro i due del 2010, non è proprio una vittoria se allo stesso tempo perdi voti, e parecchi, rispetto alle politiche del 2013 (circa 500 mila in meno) e alle stesse europee di quest’anno (quasi 300 mila) quando il calo degli elettori si era già fatto sentire pesantemente.
Per Grillo invece no. Al punto che ieri mattina, quando la sconfitta era ormai già certificata da ore, pubblica sul blog un commento che assomiglia tanto a quelli sentiti nella prima repubblica, quando dopo una tornata elettorale non aveva mai perso nessuno. Un gioco facile da fare comparando i risultati di ieri con quelli delle regionali 2010: «Il movimento 5 stelle nel 2010 raccolse il 6% pari a 126.619 voti eleggendo due consiglieri – scrive infatti il leader – Ieri ha aumentato i consensi in termini assoluti con 159.456 voti (13,2%) pari a cinque consiglieri con una campagna elettorale costata poche migliaia di euro a fronte delle centinaia di migliaia di euro degli altri partiti e senza l’aiutino dei media».
Parole che non piacciono a molti dentro il movimento, dove non manca chi pensa che ormai le cose da ridiscutere siano molte A partire dalla scelta dei candidati attraverso la rete, sistema che sarà pure democratico, ma porta alla ribalta illustri sconosciuti. E i risultati poi si vedono, e non solo perché storicamente il M5S non registra grandi successi ale amministrative: «Il voto di protesta nelle elezioni locali non funziona, va bene solo alle politiche, quando a metterci la faccia è direttamente Grillo», spiega un parlamentare fedele al leader.
La crisi del Movimento è spiega senza tanti giri di parole da Aldo Giannuli sul suo blog. «Il punto è che il M5S ha raccolto alle politiche molto di più di quanto non fosse il suo reale consenso, perché premiato dal voto di protesta, ma poi non ha saputo dimostrarsi credibile in positivo», spiega l’ideologo del movimento. «L’elettorato giudica in base ai risultati e, in un anno e mezzo di permanenza in parlamento i risultati sono davvero pochi». Per Giannuli se vuole tornare ad avere il consenso degli elettori, il M5S non ha molte scelte: «Deve ripensare il suo modello organizzativo, la sua prassi politica, la sua proposta complessiva».
Altrimenti i rischio è quello, ipotizzato dall’ex Giovanni Favia, che ieri ha ironizzato parlando di di «un harakiri a 5 stelle»