Beppe Grillo lo aveva detto qualche mese fa: «Trump forse è meno peggio di Clinton». Dopo la vittoria del candidato repubblicano, ha esclamato: «Trump ha fatto un VDay pazzesco. Ci sono similitudini fra questa storia americana e il Movimento». Grillo salta sul carro del vincitore? Non proprio. Ci sono diversi elementi che hanno spinto il co-fondatore del M5S a sbilanciarsi. A partire da elementi di cultura politica e affinità organizzative.

Assieme all’adozione di alcune tematiche ecologiste e «di sinistra», il M5S ha sempre avuto una certa fascinazione per spunti e correnti delle destre statunitensi, come i libertarians anarco-capitalisti alla Ron Paul. Da quella sponda arriva l’utopia di Gianroberto Casaleggio che vuole che in rete si verifichino le condizioni perché la mano invisibile del mercato operi al meglio, selezionando meriti e contenuti. Ha scritto il teorico del web Douglas Rushkoff che la disintermediazione causata dalla rete negli Usa ha provocato due fenomeni: l’estrema semplificazione dei contenuti dei Tea Parties e l’assemblearismo permanente di Occupy. Nel suo essere sia di destra che di sinistra, il M5S coniuga entrambi gli elementi. Dalla Casaleggio è più volte trapelata la strategia volta a banalizzare il discorso pubblico abbassandone il livello. E dall’esperienza spontanea del M5S nei territori si intravede l’incapacità di sedimentare organizzazione. Il politologo Micahel Barkun ha analizzato nel saggio Culture of conspiracy la relazione tra teorie del complotto e nuova destra statunitense. La sua descrizione dei complottismi di ultima generazione pare cucita addosso a certe narrazioni grilline: queste teorie, dice lo studioso, sono poco impegnative, incuranti delle incongruenze, usano storie prese dalla cultura pop e le sovrappongono a un mix di ideologie e alle parole d’ordine più disparate.

La disintermediazione riguarda anche gli (odiatissimi) giornalisti. Grillo si paragona a Trump cogliendone la capacità di bypassare i media tradizionali: «Abbiamo un giornalismo postdatato che capisce qualcosa quando è già successa. Siamo diventati il primo movimento politico in Italia, se ne stanno accorgendo adesso e ancora si chiedono il perché. Andremo a governare e si chiederanno ’Come hanno fatto?». E ancora: «Di Trump i grandi media hanno detto molte cose simili a quelle che dicono di noi. Dicevano che eravamo sessisti, omofobi, populisti. Non si rendono conto che milioni di persone i loro giornali non li leggono più e non guardano la loro tv».

Infine, per comprendere cosa c’entri Grillo con Trump bisogna tenere presente la passione autarchica del neopresidente, che si coniuga con l’uso disinvolto della geopolitica dei pentastellati e l’ammirazione per le teorie del filosofo Diego Fusaro, fautore di un nazionalismo in chiave antiliberista. La visione strategica prevede che la critica dell’Ue e le relazioni con la Russia consentano all’Italia di riconquistare la «sovranità nazionale».

«Gli Usa non erano la migliore democrazia del mondo quando eleggevano Obama e non sono la peggiore oggi. Vedremo quel che accadrà», ha detto ieri un Alessandro Di Battista insolitamente cauto. Il suo collega Manlio Di Stefano, molto attivo in politica estera (in passato è intervenuto al congresso di Russia Unita, il partito di Putin) si sofferma sul primo discorso di Trump: «Il segnale che ci arriva oggi è una speranza: Trump vuole il dialogo».