Sono le 11,28 di ieri mattina quando Beppe Grillo decide di riaprire il frigorifero del M5S e buttarci dentro i voti che domenica hanno consacrato il M5S come seconda realtà politica in quattro regioni su sette (Liguria, Umbria, Marche e Puglia) e seconda a livello nazionale dietro un Pd decisamente in affanno. Voti che ora vengono di nuovo congelati dal leader, come fece dopo le politiche del 2013. «Grazie alle sirene della sinistra che ci vorrebbero assessori o alleati, ma le alleanze e gli inciuci non ci appartengono», scrive Grillo sul suo blog.

Il messaggio è diretto a Michele Emiliano, il neo governatore della Puglia che appena eletto è tornato a proporre alla grillina Antonella Laricchia, premiata dalle urne con un lusinghiero 18,4% , l’assessorato all’Ambiente. Ma anche a quanti guardano alla Liguria, dove i pentastellati, forti del 22,29% conquistato dalla lista, potrebbero risultare decisivi se solo lo volessero per la formazione del governo regionale, anche se dovrebbero scendere a patti con Toti. Niente da fare. «Il M5S voterà in consiglio regionale (e in parlamento) ogni proposta che sia contenuta nel suo programma o che porti un beneficio ai cittadini» scrive Grillo scavando di nuovo la trincea purista lungo la quale da sempre ha schierato il movimento.

Il leader ieri era atteso a Roma per festeggiare insieme ai suoi. Invece ha preferito rimanere a Genova continuando a infierire su Renzi dal blog («una marionetta» che ora «va in Afghanistan», ma che «ha avuto quello che si merita»), lasciando il palcoscenico ai suoi colonnelli. Come Luigi Di Maio, che su Facebook esulta: «Credevano fossimo un fuoco di paglia. Ma il movimento è di sana e robusta costituzione». Entusiasmo legittimo, che rischia però di raffreddarsi se si compara il voto con le precedenti tornate elettorali come ha fatto l’Istituto Cattaneo. Si scopre così che se è vero, come Grillo non manca di sottolineare, che rispetto alle europee il Pd ha perso più di due milioni di voti, è altrettanto vero che il M5S ne ha lasciati sul terreno quasi 893 mila rispetto alle europee e addirittura 1 milione 935 mila rispetto alle politiche del 2013, facendo registrare il segno meno in tutte le Regioni in cui si è votato.

L’aspetto positivo è invece che in un’elezione amministrativa il M5S non aveva mai visto risultati come quelli di domenica. I consensi ottenuti non dimostrerebbero solo che ormai il M5S si è radicato nei territori, ma anche che le sue proposte – vedi il reddito di cittadinanza – hanno fatto breccia negli elettori e quindi che intorno a Grillo non si raccoglierebbe più solo la protesta anti-casta. La prova del nove arriva proprio dall’astensionismo che nel 2013 premiò il M5S ma che oggi non sembra più rappresentare un bacino utile, visto che da lì non è arrivato neanche un voto per il movimento.

Carburante per le truppe grilline, che adesso puntano alla conquista di palazzo Chigi galvanizzate anche dal fatto che il successo ottenuto è frutto delle nuova strategia adottata dal movimento, che non rifiuta più le apparizioni televisive, e nonostante l’assenza di Grillo dalla campagna elettorale. Il che non significa però, contrariamente a quanto si era pensato nei giorni scorsi, che il leader stia per appendere gli scarpini al chiodo. «Io sarò sempre presente insieme a Casaleggio», ha infatti chiarito ieri dal blog prima di lanciare la carica ai suoi: «Andiamo avanti, andremo sempre meglio».