«Evviva ha vinto la democrazia». Esulta Beppe Grillo. E’ da poco passata mezzanotte e messi da parte i dubbi del pomeriggio, quando si diceva pronto ad accettare una vittoria del Sì, il leader del M5S già pensa al futuro. «Auguriamo buon lavoro al presidente Mattarella in questo momento cruciale», scrive sul blog. «Come prima forza politica del paese siamo disponibili e fare i passi necessari per arrivare alle elezioni politiche». E tanto per non perdere tempo annuncia sempre via blog, le consultazioni in rete per arrivare «al programma di governo e in seguito alla squadra di governo». Elezioni quindi e – prosegue Grillo, con l’Italicum, legge elettorale contestatissima fino a ieri e oggi improvvisamente utile.

Una vittoria al di sopra delle aspettative per i 5 Stelle riuniti alla Camera. Qui, proprio nell’odiato «palazzo», si sono dati appuntamento i pentastellati protagonisti di questa lunga campagna referendaria. Ci sono da subito alcuni deputati. In primis Alessandro Di Battista, che si è messo in viaggio elettorale per l’Italia, prima in scooterone e poi in treno. Lo affiancano i capigruppo di Camera e Senato, Giulia Grillo e Luigi Gaetti. E di fronte alle immigini del premier in televisione non hanno dubbi: «Bisogna andare a votare senza bivaccare in parlamento», sentenzia Vito Crimi.

I grillini parlano quasi per ultimi: si presentano col volto moderato di Luigi Di Maio e coll’esperto di legge elettorale Danilo Toninelli. Lasciano a Matteo Salvini il diritto di apporre un timbro sulla sfiducia de facto a Matteo Renzi.
Ma non è un mistero, lo annunciavano mesi fa tutti i personaggi di primo piano della galassia grillina, che da oggi finisce la tregua. Comincia una sorta di resa dei conti all’interno del Movimento 5 Stelle. L’accordo era chiaro: fino allo spoglio del referendum su Renzi e la sua riforma, non si parla delle questioni spinose. E così tutti hanno fatto buon viso a cattivo gioco.

Non c’è più un direttorio, anche se i cinque deputati scelti da Grillo sono apparsi sul palco del comizio romano dello scorso 26 novembre. Il che significa che qualche forma organizzativa dovrà essere frapposta tra la base e la ritrovata presenza del capo e co-fondatore. Anche perché le cause degli espulsi continuano a minare il regolamento e la disciplina interna.

La sconfitta di Renzi, colui che provò a rivoltare gli argomenti grillini contro i pentastellati stessi, significa l’affondamento del famigerato «combinato disposto» e la crisi di governo. Assieme alla riforma Boschi decade anche l’Italicum, cioè la legge elettorale che forniva al M5S una qualche speranza di vincere le elezioni. Una delle anomalie di questa campagna elettorale, per Di Battista e gli altri, è stata quella di trovarsi in uno schieramento accanto ad altre sigle di ogni colore politico. Il che ha significato aggirarsi con la consueta astuzia tra argomenti di destra e ragioni di sinistra.

Al tempo stesso, la prudenza di questa nottata, insolita da queste parti, interroga la forza politica principale dell’opposizione che andrà a parlare con Mattarella. Lo fa da qualche settimana, da quando Grillo ha deciso di giocare i suoi comizi sul canovaccio dell’elogio dei perdenti. Un discorso interpretato superficialmente come l’annuncio di una sconfitta che il comico genovese non era di certo in grado di prevedere. Il vero significato della poetica del fallimento arriva adesso: «Siete tutti dei falliti – sembra dire Grillo – O almeno lo eravate prima che arrivassi io con il M5S». Ma la fase che si apre è legata alla capacità che avranno i grillini di rapportarsi ad altre forze politiche e sociali, e semmai di saper scegliere e discernere senza fare di ogni erba un fascio.