Dopo aver definito i sostenitori del Sì al referendum come «i serial killer dei nostri figli», Beppe Grillo ieri ha alzato la posta e si è lanciato in un’allegoria destinata a lasciare il segno: «Renzi si comporta come una scrofa ferita che attacca chiunque veda».

Il comico esaspera i toni e conferma da qualche giorno di aver scelto la strada che conosce bene e che porta ad attirare l’attenzione sulla sua persona per dettare tempi e modi del duello prima del voto. Era accaduto nelle ultime campagne elettorali, potrebbe succedere anche nei giorni che ci separano dal 4 dicembre. L’obiettivo del leader M5S è polarizzare lo scontro, cancellare dallo schermo (che si tratti di televisore o monitor) tutte le altre opposizioni in campo.

Che i grillini non avessero intenzione alcuna di condividere con chicchessia la battaglia referendaria si era compreso quando non avevano contribuito alla raccolta firme dei comitati per il No o quando avevano rifiutato di stringere rapporti con le altre componenti che si oppongono alla riforma Boschi. Il Movimento 5 Stelle rifiuta qualsiasi alleanza, pur se temporanea o se rivolta a soggetti che non hanno nulla a che fare con i partiti. Grillo non vuole essere associato ad altre forze politiche, neppure in caso di un referendum che ti impone di stare «di qua o di là». Ecco perché in questi giorni si è ripreso il centro della scena e il blog è tornato ad essere il metronomo della propaganda politica pentastellata. Dopo mesi in cui i giovani emergenti si erano imposti ai media, opportunamente addestrati nelle stanze della Casaleggio Associati, è tornato il co-fondatore a far da mattatore. Nel frattempo, i parlamentari più in vista, a partire da Alessandro Di Battista, battono le piazze e incontrano i cittadini in giro per paese a favor di webcam: i comizi vengono rilanciati sui social network e si diffondono virali. Troppo importante la sfida finale contro il presidente del consiglio. Per non parlare del rischio che Matteo Renzi, quando parla di «accozzaglia» per descrivere la compagine plurale che sostiene il no, colpisca nel segno e faccia proseliti. E allora ecco che Grillo ha messo anche D’Alema, Bersani e Berlusconi nell’elenco dei politici che verranno spazzati via dalla «battaglia campale» del 4 dicembre, omettendo di precisare che anche questi si oppongono alle modifiche alla Costituzione.

La mossa di Grillo cambia lo scenario della corsa in atto. Forse proprio per questo non pare preoccupare Renzi, al quale serviva un cambio di passo per provare a recuperare terreno. A Renzi il «frame» del duello all’ultimo voto, la cornice narrativa della contesa finale tra i due leader, non dispiace affatto. Lo confermano i messaggi che arrivano dal suo gabinetto di guerra elettorale: si diffondono storie, slogan e parole d’ordine che paiono speculari a quelli diffusi da Grillo, a cominciare dai riferimenti al taglio dei costi della politica. Fino alle armi propagandistiche non convenzionali non formalmente riconducibili ai renziani, come la diffusione sui social di locandine fake che associano storiche parole d’ordine dei grillini al voto a favore della riforma, con tanto di brand a 5 Stelle. Ecco perché, ad esempio, Renzi ha preso di mira Di Battista: «Guadagna in media 10 mila euro al mese, il doppio di quanto prendo io». «Proprio loro, che non si vogliono tagliare lo stipendio, attaccano sulle restituzioni che i nostri portavoce fanno ogni mese ai cittadini italiani tagliandosi lo stipendio», ribatte a stretto giro il blog di Grillo. Il segretario del Pd ci tiene a presentarsi come anti-establishment cavalcando a modo suo la vittoria di Trump negli Stati uniti, che pure Grillo all’indomani del voto americano aveva cercato di incamerare sottolineando le analogie tra il M5S e il neo-presidente a stelle e strisce.

Del blog di Grillo ieri si è discusso anche in consiglio comunale a Roma: il Pd ha presentato un’interrogazione per chiedere conto alla sindaca Virginia Raggi delle comunicazioni istituzionali apparse sul sito del leader M5S: «Come mai usa il blog di Beppe Grillo per dare informazioni alla cittadinanza?». Ne è scaturita una dura polemica, proprio sul referendum, la par condicio e il ruolo di Renzi.