«Per riorganizzare il Movimento 5 Stelle serve un capo politico»: è questa la formula che Luigi Di Maio adopera davanti all’assemblea congiunta degli eletti che si tiene a fine giornata a Montecitorio per rilanciare la sua posizione dopo il crollo elettorale delle europee. Davanti a lui, insieme a deputati e senatori, ci sono due personaggi-chiave che parlamentari non sono: Alessandro Di Battista ormai rientrato in ballo e Max Bugani, uomo di Davide Casaleggio a palazzo Chigi. E c’è, per la prima volta da quando è presidente della camera, Roberto Fico.

DI MAIO TENTA DI RECUPERARE quando apre alla riscrittura delle regole interne al M5S: «Alcune cose andavano bene dieci anni fa, ma oggi possono cambiare». Rivendica di aver sottolineato le differenze con la Lega in occasione del Congresso della famiglia di Verona ma per chiudere la sua introduzione pesca una metafora tradizionalissima: «Siamo come una famiglia». Parla poco del governo ma la questione non sembra all’ordine del giorno. Si limita a rispedire al mittente la lettera della commissione Ue sul debito: «L’Italia non si piega!».
Di buon’ora, in mattinata, Di Maio aveva cercato di svuotare di senso la riunione serale e anticipare ogni forma di contestazione al suo operato. L’idea è in fondo semplice: smarcarsi dalla discussione invocando il feticcio della «democrazia diretta». Indire una specie di referendum sulla sua figura. «Chiedo di mettere al voto degli iscritti su Rousseau il mio ruolo di ‘capo politico’ – dice Di Maio indicendo la consultazione per oggi – Non sono mai scappato dai miei doveri e se c’è qualcosa da cambiare nel M5S lo faremo».

DAVIDE CASALEGGIO APPROVA: la sua creatura telematica da tempo all’angolo (ma profumatamente finanziata dagli eletti) ritrova qualche ora di protagonismo. Nel giro di un paio d’ore arriva la sponda di Beppe Grillo. «Luigi non ha commesso un reato, non è esposto in uno scandalo di nessun genere. È già eccessiva questa giostra di revisione della fiducia. Deve continuare la battaglia che stava combattendo», scrive Grillo. Nel frattempo Gianluigi Paragone, fino a pochissimo tempo fa parte del «raggio magico» di Di Maio, annunciava le dimissioni da senatore e polemizza sulla carenza di discussione interna. Mostra disagio un altro grillino del nuovo corso, l’ex direttore del Tg5 Emilio Carelli. Non sono i «dissidenti», figure ormai quasi pittoresche che il M5S ha da tempo digerito (e marginalizzato). Sono personaggi di primo piano, cooptati l’anno scorso proprio da Di Maio per rafforzare l’immagine del M5S. Come Primo Di Nicola, dimessosi il giorno precedente da vicepresidente del gruppo al senato che però in assemblea elogia Di Maio.

FINO A POCO TEMPO FA sarebbe bastata una consultazione e l’indicazione della rotta da seguire da parte del «garante» Grillo, per considerare chiusa la faccenda. «Non esistono cambi o sostituzioni, quelli li lasciamo alla vecchia politica» dice ad esempio la vicepresidente del senato Paola Taverna blindando la posizione di Di Maio e dando la stura ad una sequenza di dichiarazioni-fotocopia a favore del leader. Questa volta però la situazione è diversa. Non sembra in discussione l’esito del voto online, difficilmente ci saranno sorprese. Ma crea malumori la natura stessa del quesito. Crescono le voci di quelli che dentro al M5S chiedono discussioni più articolate di un clic. Lo dice il deputato Andrea Colletti: «Il problema non è Di Maio ma quelli che lo circondano – afferma – Un leader politico si deve circondare di persone migliori di lui, non solo di fedelissimi, lecchini e yes men». Carlo Sibilia, sottosegretario agli interni, forse si fa sfuggire il senso profondo della linea perseguita dai fedelissimi: «Dopo le europee non cambia niente, siamo ancora il primo partito in parlamento». Gli eletti si fanno due conti su cosa significherebbe il ritorno alle urne, sulle possibilità di fare il pieno come un anno fa e sul vincolo dei due mandati. Quel limite fino ad oggi ha causato l’allineamento delle posizioni governiste da parte dei tanti che sono al secondo giro, ma comincia a produrre anche effetti contraddittori e imprevisti.

L’EUROPARLAMENTARE Laura Ferrara, ad esempio, è stata appena rieletta con 83 mila voti. È stata la più votata della circoscrizione sud, si appresta a cominciare il secondo mandato e a questo punto ha poco da temere. Infatti per la prima volta pronuncia parole nette rivolgendosi dritta a Di Maio spiegando che il referendum sulla Rousseau «francamente mi delude». «Cos’è che siamo chiamati a votare – domanda Ferrara – Luigi sì o Luigi no? In caso di vittoria del ‘No’ qual è l’alternativa? Si lascia un M5S che è al governo senza una guida, senza organizzazione, senza linea politica? E in caso di vittoria del ‘Sì’ credi di uscirne forte e si va avanti come se nulla fosse successo?».