Stavolta non c’è stata neanche la sceneggiata della rete. Scavalcati a piè pari gli attivisti (ma come, non erano imprescindibili per il guru dei 5 stelle?) l’ordine è precipitato sui parlamentari grillini che hanno obbedito senza discutere. Alessandra Bencini, Laura Bignami, Monica Casaletto, Maria Mussini e Maurizio Romani, i cinque senatori dimissionari dopo l’espulsione dei dissidenti, «sono fuori dal movimento», scrive Grillo sul blog. Una decisione presa ignorando il regolamento, secondo il quale prima l’assemblea dei parlamentari e poi la rete dovrebbero decidere su eventuali espulsioni, ed evidentemente maturata nella testa del guru durante la notte. I cinque vengono dunque accompagnati alla porta senza troppe spiegazioni. Bastino, per tutti, le parole di Grillo al quale la mossa delle dimissioni non è proprio andata giù. «Questo gesto non è stato motivato da particolari situazioni personali, familiari o di salute – scrive sul blog -, ma come gesto politico in aperto conflitto e contrasto con quanto richiesto dal territorio, stabilito dall’assemblea dei parlamentari del M5S, confermato dai fondatori del M5S, ratificato dagli iscritti certificati in rete, in merito ai quattro senatori espulsi». E quindi i dimissionari «non possono continuare a esserne rappresentanti ufficiali nelle istituzioni». Amen.

L’ennesima scomunica non è stata però l’unica brutta novità della giornata. A Milano la polizia ha infatti intercettato una busta con all’interno alcune pallottole indirizzata ai senatori Campanella, Bocchino, Orellana e Battista, i quattro dissidenti espulsi, ma anche alla senatrice De Pin, uscita sei mesi fa dal M5S, e a due giornalisti. Chiaramente il gesto di un esaltato dal quale i capigruppo M5S alla Camera e al Senato hanno preso subito le distanze, ma che certo non aiuta a rendere il clima più sereno.

Nel pomeriggio i senatori si sono visti per un nuova riunione alla quale hanno partecipato anche i dimissionari. Si è trattato dell’ennesimo incontro fatto di lacrime (dei cacciati di turno) e gelo (di quasi tutti gli altri), di tentativi di mediazione e voglia di chiudere al più presto con chiunque non sia in linea con le decisioni prese a Genova e Milano. Ai cinque è stato chiesto di ritirare le dimissioni con la promessa di una riscrittura delle regole, ma nessuno di loro ha fatto marcia indietro. E anzi hanno provato a chiedere la diretta streaming, che è stata però rifiutata senza neanche mettere ai voti la proposta. Attivisti quindi chiusi fuori dalla porta ancora una volta, a dimostrazione di come la trasparenza, che pure era una delle bandiere del M5S al momento dell’ingresso nelle istituzioni, sia ormai solo un ricordo sbiadito. Al posto dello streaming è arrivata però una lavagna, servita a ridefinire le presenze nelle commissioni dopo le ultime defenestrazioni. In undici mesi il M5S ha infatti lasciato per strada molti dei suoi senatori, al punto che dai 54 iniziali ben 13 non ci sono più. Uno alla volta o in massa se sono andati prima i quattro ex già confluiti nel gruppo Misto, poi i dissidenti e ora i cinque dimissionari. Ne restano 41, ma non è detto che durino. L’ultima sfuriata del capo non è piaciuta infatti a molti, e già ieri si parlava di possibili altri 4-5 senatori pronti a lasciare. Stessa cosa alla Camera, dove i «ribelli» starebbero solo cercando di organizzare l’uscita. Numeri che rafforzano l’ipotesi di dar vita a un nuovo gruppo al Senato fatto solo da ex M5S e che a questo punto potrebbe contare su ben 18 senatori. «Se continua così alla fine avranno difficoltà anche a organizzare una briscola», dice il senatore Campanella, uno dei cacciati, ironizzando sugli ortodossi.

Ma che succede a Beppe Grillo? Ultimamente i suoi sfoghi sono diventati sempre più frequenti e accesi, e non risparmiano neanche personaggi da sempre fiore all’occhiello del M5S come il sindaco di Parma Pizzarotti. «Grillo sta suicidando il movimento», si sfoga un parlamentare incapace di trovare altre risposte. Di certo il nuovo corso non piace alla rete. Fatta la tara di quelli sempre e comunque fedeli al capo, sempre più infatti sono quelli che prendono le distanze: «Ormai ci si lascia alle spalle tutto, anche le poche regole che ci sono», fa notare ad esempio Marco, da Bologna. Mentre Dave chiede sconsolato: «C’è una precisa strategia del fondatore per far perdere il più alto numero di voti alle europee?».