Il lugubre ossario che è Grenfell Tower si tiene strette le sue vittime, non concede ancora il lutto ai loro cari. Finora le morti accertate ufficialmente nello spaventoso rogo di mercoledì notte sono trenta.

Sono stati recuperati sedici corpi, la polizia parla di 58 persone che mancano all’appello e che sono probabilmente ancora nell’edificio, la cui stabilità precaria aveva indotto a sospendere temporaneamente le ricerche.

Per la stessa ragione ieri è stata chiusa la vicina stazione della metro di Latimer Road: si teme che detriti del rogo possano cadere sui binari. Ci vorranno settimane, forse mesi per completare i macabri sopralluoghi.

Nel cercare di porre rimedio all’omissione di umanità dimostrata evitando di incontrare già giovedì la comunità colpita dalla tragedia, Theresa May ne ha ricevuto ieri una delegazione a Downing Street, mentre fuori un migliaio di persone continuava la protesta dandole della vigliacca e chiedendone le dimissioni.

Ha promesso che le famiglie senza tetto ne riceveranno uno entro tre settimane e nella stessa zona: ma non bastano certo i cinque milioni di sterline stanziati per le famiglie che hanno perso tutto, o l’annunciata inchiesta penale che dovrà accertare le responsabilità dietro questa tragedia.

I superstiti e gli altri membri della comunità vogliono risposte che nessuno è in grado di – o non vuole – dare. Una frustrazione che si aggiunge all’ira per aver subito una catastrofe agevolata da una serie di irresponsabili e ciniche scelte al risparmio.

Ancora non si sa esattamente dove e come sia scoppiato l’incendio che ha carbonizzato l’enorme edificio in poche ore. Il council latita nell’organizzazione dei soccorsi, quasi del tutto lasciati all’iniziativa di volontari della comunità.

Anche per questo giovedì pomeriggio un centinaio di persone si era portato presso la sede a urlare tutto il proprio malcontento. Che si è mutato in collera di fronte alla decisione di May di non sottoporsi al bagno di umiltà che sarebbe stato il confronto col dolore e la disperazione di suoi connazionali, che non l’avranno certo votata, ma che comunque è tenuta a rappresentare.

È l’ultima negligenza da parte di una premier dimostratasi finora del tutto incapace di trascendere i propri limiti caratteriali per aprirsi al contatto con le persone comuni, allargando a dismisura il golfo che già separa lei, bianca, middle class, cristiana e di centrodestra, dalle vittime di Grenfell, di origini caraibiche, mediorientali, musulmane e working class.

Comportandosi così ha dato l’impressione netta di non considerarli connazionali. Oltre a dimostrare che se una l’umanità non ce l’ha, non se la può dare.

Impressione, questa, possibilmente rafforzata da un’intervista rilasciata venerdì sera al programma di approfondimento della Bbc Newsnight, dove ancora una volta ha mancato di scusarsi e di ammettere le gravi responsabilità dei governi del suo partito nell’aver ridotto così drasticamente la sicurezza degli alloggi popolari: l’ex ministro dell’edilizia abitativa, Brandon Lewis, attualmente ministro dell’immigrazione, nel 2014 si rifiutò di obbligare i costruttori a installare gli spruzzatori nel timore che «scoraggiasse le imprese dall’investire».

Elisabetta II ha cercato di alleviare la gogna nazionale della sua prima ministra, mostrandosi molto contrita e dedicando ieri, alla parata Trooping the colour, che celebra il suo compleanno ufficiale, l’ennesimo minuto di silenzio per le ultime vittime di queste terribili settimane, già punteggiate da troppi minuti di silenzio.

Ma la premier è ormai politicamente annichilita, supportata a malincuore dal suo partito, la cui posizione elettorale, da spavalda che era, è diventata grazie a lei un incubo nel giro di poco più di un mese.

Grenfell è per Theresa May quello che l’uragano Katrina fu per George W. Bush: una calamità che colpisce una parte della società da cui la destra al potere è lontana anni luce. Ma ricorda anche da vicino la poll tax, il controverso balzello che provocò la caduta di Margaret Thatcher.

L’unico appiglio rimastole alla leadership è che i Tories non hanno altra scelta che tenersela: lunedì David Davis sarà a Bruxelles ad aprire un negoziato in cui la controparte europea sa di avere di fronte un emissario che un mese fa ruggiva e adesso miagola.