Un’Italia 100% rinnovabile: è l’obiettivo che si pongono gli ambientalisti oggi. Tra loro Greenpeace: ma il nostro governo sembra non collaborare. L’ultima polemica due settimane fa, quando il premier Matteo Renzi, durante un summit con i vertici di Eni, Enel e Terna ha annunciato nuovi investimenti sul settore, pari a 450 milioni di euro l’anno. «È una cifra davvero bassa – ha commentato l’associazione – e pare invece essere inesorabilmente “evaporato” uno degli annunci fatti da Renzi durante la campagna per il referendum trivelle, ovvero il raggiungimento del 50% di elettricità da fonti rinnovabili entro fine legislatura».

L’Italia non riesce a oltrepassare la soglia del 40%, e nell’ultimo anno tra l’altro la diminuzione delle piogge ha indebolito l’idroelettrico, abbassandone l’incidenza. Ma le nuvole, per quanto crudeli, non sono state taccagne quanto il nostro governo. Che da un lato ha affossato le rinnovabili, e dall’altro ha investito in fossili.

La denuncia arriva dal rapporto «Rinnovabili nel mirino» diffuso da Greenpeace a fine marzo, poche settimane prima del referendum sulle trivelle del 17 aprile: l’associazione ha sostenuto il Sì. «Per dare un’idea dell’attuale situazione – dice il rapporto – basta il dato relativo ai nuovi impianti fotovoltaici entrati in esercizio tra il 2012 e il 2014. Secondo i dati ufficiali del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE), nel 2012 erano infatti entrati in esercizio quasi 150 mila nuovi impianti fotovoltaici. Il numero si è più che dimezzato nel 2013, con quasi 70 mila nuove installazioni. Ma il vero crollo è avvenuto nel 2014, anno di insediamento del governo Renzi, quando sono entrati in esercizio appena 722 nuovi impianti».

Secondo un’analisi di Bloomberg New Energy Finance, prosegue il rapporto, «nel 2014 gli investimenti in rinnovabili in Italia sono crollati del 60% rispetto al 2013, fermandosi a un ammontare complessivo di appena 2 miliardi di dollari. A causare una tale contrazione degli investimenti sono stati i tagli retroattivi contenuti in gran parte nel cosiddetto decreto “Spalma-Incentivi” firmato dall’allora neo capo di governo Matteo Renzi. E se il calo degli investimenti si è allargato l’anno seguente a buona parte dell’Europa, che nel 2015 ha registrato un -18% rispetto al 2014, l’Italia ha dimostrato di essere uno dei Paesi meno “attraenti” a causa dell’incertezza normativa sulle rinnovabili».

E così, prosegue Greenpeace, se da un lato «il governo continua a tagliare gli incentivi alle energie rinnovabili, persino per la sostituzione dei tetti in amianto, non sembra avere la stessa mano pesante per gli incentivi ai combustibili fossili. Secondo l’Fmi, nel 2014 l’Italia si è infatti classificata al nono posto in Europa per i finanziamenti ai combustibili fossili, con 13,2 miliardi di dollari. Un dato addirittura in crescita rispetto ai 12,8 miliardi del 2013». I 13,2 miliardi citati, investiti in gas e petrolio, risultano superiori agli 11 miliardi per le rinnovabili, mentre la Germania in quest’ultimo settore investe 23 miliardi l’anno.

Numeri che denunciano il progressivo disimpegno dell’Italia, e che vanno integrati con quelli sui posti di lavoro: nel 2015 si sono persi 4 mila occupati nel solo comparto eolico. Nello stesso tempo dallo studio «Le ricadute economiche delle energie rinnovabili in Italia» realizzato da Althesys per Greenpeace si evince come con adeguati investimenti , entro il 2030 il settore rinnovabili potrebbe garantire oltre 100 mila posti.