Semafori verdi per il certificato verde. Quello del Senato, con tanto di voto di fiducia, che approva il Green pass originario, il decreto di luglio: 189 voti a favore, 32 contrari e 2 astenuti, con la Lega allineata nel voto a favore. Quello dei sindacati, per l’estensione del certificato obbligatorio a tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. La cabina di regia ne discuterà per l’ultima volta stamattina, prima potrebbe svolgersi l’incontro con i presidenti di Regione, poi il consiglio dei ministri licenzierà il terzo decreto Green pass. Il secondo, quello che fissava l’obbligo per il personale scolastico, sarà alla Camera il 20 settembre.

DRAGHI HA CONVOCATO ieri pomeriggio i sindacati, a decisione già presa. Non è stata una trattativa ma un annuncio e il gelo dei tre segretari all’uscita di palazzo Chigi è eloquente anche se qualche ora dopo il segretario della Cisl Luigi Sbarra parlerà della definizione di un quadro normativo preciso come di «una svolta positiva». «Il governo ci ha informati che intende assumere per decreto la decisione» sintetizza il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri. «Ci hanno spiegato che per loro è lo strumento per incentivare ed estendere la vaccinazione», aggiunge altrettanto freddo Maurizio Landini. I sindacati confermano che avrebbero preferito l’obbligo vaccinale ma senza trovare alcun varco: «Abbiamo ribadito che la strada migliore è l’obbligo, come prevede la Costituzione. Siamo stati informati che per ora questa opzione non c’è. Non la escludono ma non è prevista».

I SINDACATI HANNO INVECE insistito su altri due punti: il tampone gratuito e le sanzioni per chi non rispetta le regole. Sul primo le porte non sono formalmente chiuse, il governo assicura che ci penserà ma in realtà anche su quel fronte Draghi non intende concedere quasi niente. Nel decreto non figurerà neppure l’abbassamento del prezzo dei tamponi per alcune categorie. Sul secondo fronte invece è probabile che i sindacati ottengano qualcosa. «Chiediamo che non siano previsti né licenziamenti né demansionamenti strutturali», dice Landini ed è probabile che le sanzioni, come già nella scuola, non vadano oltre la sospensione senza stipendio fino a che dura lo stato d’emergenza. Sanzioni più severe non sono ancora formalmente escluse ma assumerle significherebbe infilarsi in un ginepraio. La data in cui entrerà in vigore l’obbligo non è ancora stata fissata. Ai leader sindacali Mario Draghi ha solo parlato del mese di ottobre. Il governo punta sul 10 di quel mese ma l’avvio della restrizione potrebbe slittare sino al 15.

UN NODO A SÉ, non ancora sciolto, riguarda chi dovrà effettuare i controlli all’ingresso. I medici aziendali rifiutano l’incarico. Temono di essere soggetti a cause che andrebbero tutte a loro spese. Se ne occuperanno probabilmente «gli addetti delle aziende» ma l’ultima parola in merito sarà detta solo oggi.
Resta, come sempre, l’incognita Lega, anche se si tratta di un’incognita per modo di dire. Quando Draghi ha forzato la mano Matteo Salvini non aveva altra possibilità che cedere anche prima di ritrovarsi contro la parte più influente del suo partito. Oggi i suoi margini sono ancora più ristretti. «Al momento non esiste un progetto definito sull’estensione del Green pass», assicurava il leghista a margine di un comizio a Pavia: parole quasi comiche dato che più o meno nello stesso momento il progetto veniva illustrato ai sindacati. «Non si può pensare di estendere l’obbligo a sessanta milioni di italiani», proseguiva il capo della Lega. Ma oggi, prima in cabina di regia e poi al cdm, non ci sarà lui. Ci saranno i ministri che costituiscono l’ala più «governista» e che anzi, per bocca del numero due del partito Giorgetti, hanno aperto proprio loro le porte all’estensione immediata dell’obbligo di Green pass anche al privato.

NON CHE LA LEGA abbia rinunciato alla sua ormai proverbiale ambiguità. Ieri, in commissione Cultura alla Camera, i leghisti hanno votato con Fratelli d’Italia contro l’estensione dell’obbligo del pass a tutto il personale scolastico, varata con il voto favorevole dei ministri leghisti. Ma è un’ambiguità che non resisterà a lungo, anche perché elettoralmente non sembra proprio che paghi. Dopo le amministrative Salvini dovrà decidere da che parte stare. Con una spintarella decisa di Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia.