Il treno del Green pass sta per prendere di nuovo la rincorsa. Giovedì si dovrebbe riunire la cabina di regia. Subito dopo il governo prevede di varare un decreto ridotto all’osso: un solo articolo per estendere le regole del pass obbligatorio non solo a tutta la Pubblica amministrazione, come già previsto, ma anche all’intero settore privato, passo che invece sembrava dover essere posticipato di qualche settimana. A sbloccare la situazione, permettendo di allargare subito l’obbligo a tutti i luoghi di lavoro, come suggeriva Brunetta, sarebbero stati da un lato l’incontro tra Draghi e Landini, dall’altro il semaforo verde implicito nelle dichiarazioni di Confindustria favorevoli al Green pass.

IL TAM TAM DI CORRIDOIO dà la decisione per già presa ed è molto probabile che sia davvero così anche se mancano conferme e non potrebbe essere diversamente: annunciare il passo ora significherebbe svilire esageratamente il ruolo della nascente cabina di regia. Il periodo ipotetico, sia pur dell’estrema probabilità, resta dunque d’obbligo, anche perché la stessa cabina, ieri sera, non era ancora stata convocata.

MA SE I TEMPI sembrano ormai definiti, sulla modalità del Green pass obbligatorio la partita è aperta. I sindacati insistono: «Non abbiamo nulla contro in via di principio», scrive il direttivo della Cgil, riunito ieri, in un lungo comunicato, dopo aver sottolineato che la via maestra resta quella della vaccinazione obbligatoria. Purché il Green pass non venga usato come strumento di discriminazione, cioè purché non consenta sanzioni, licenziamenti o limitazioni dei diritti contrattuali come la mensa. E purché il tampone «non costituisca un costo che devono sostenere lavoratori e lavoratrici solo per poter svolgere il loro lavoro».

È una richiesta che per ora sbatte contro il muro eretto dal governo. Draghi al momento non intende andare oltre la gratuità del tampone per chi è nell’impossibilità di vaccinarsi per motivi di salute. Un provvedimento generalizzato, ripetono da palazzo Chigi e dal ministero della Salute, implicherebbe un disincentivo alla vaccinazione. Il problema è reale, ma nei conti dell’esecutivo pesa anche il meno confessabile costo dei tamponi a spese dello Stato, considerato troppo esoso.

SU QUESTI PUNTI il confronto in cabina di regia sarà acceso, perché sono richieste molto vicine quando non identiche a quelle della Lega ma anche perché l’ala sinistra della maggioranza, in particolare LeU e Pd, difficilmente potrà ignorare del tutto le sollecitazioni del sindacato. Soprattutto per il Carroccio, però, provare a dare battaglia sui tamponi gratis è più un obbligo che una scelta. Il partito di Salvini appare privo di bussola. Dopo aver votato a favore del Green pass in cdm, lasciandosi però le mani libere sugli emendamenti, e dopo aver votato contro in commissione, ieri nell’aula di Montecitorio la Lega ha ritirato gli emendamenti per evitare un voto di fiducia che l’avrebbe messa in difficoltà ancora maggiori, salvo poi votare a favore dell’emendamento di FdI (respinto) che chiedeva di cancellare l’obbligo per i ristoranti al chiuso. Furibonda la reazione del Pd: «È un partito inaffidabile per il governo, serve chiarezza», tuona Letta. Indignazione dovuta e d’ordinanza, certo, ma Salvini appare davvero in stato confusionale.

LE PIROETTE DEL LEADER leghista, in realtà, sono meno inspiegabili di quanto appaiano. Salvini deve verificare alle amministrative i reali rapporti di forza nella destra. Se gli elettori consegneranno lo scettro a Meloni, piegherà sul versante del «partito di governo» considerando l’ipotesi di dividere la coalizione subito dopo le elezioni politiche. Se invece sarà confermato leader punterà sulla vittoria della destra alle politiche e si orienterà verso il «partito d’opposizione». Sino a quel momento deve cercare di scontentare i suoi elettori il meno possibile. Senza mettere a rischio il governo e dunque accettando il Green pass per i lavoratori, ma dimostrandosi almeno combattivo dentro quella cabina di regia che proprio lui ha voluto.