Boris Johnson ha annunciato entro il 2030 una nuova soglia di tagli del 68% del livello di emissioni del 1990. È tenuto a fissare questo obiettivo secondo i termini degli accordi di Parigi che ha sottoscritto nel 2015. Meglio del precedentemente stabilito al 53%, ma di certo non ancora abbastanza.

I Tories puntano a zero emissioni entro il 2050 e naturalmente “guidano il mondo” sul sentiero della decarbonizzazione dell’economia come già su quello dell’industrializzazione. Non a caso la chiamano rivoluzione industriale verde, l’ennesimo ossimoro. E tuttavia sono misure che vanno molto oltre quello che Europa, Stati Uniti e Australia sono disposti a fare (l’Ue si è data una soglia del 40%).

Il programma in dieci punti di Johnson, annunciato lo scorso novembre, punta a bandire la vendita di automobili e benzina e diesel entro il 2030 ma l’elettrificazione del trasporto su ruota (46% entro quella stessa data) non è che una piccola parte dell’agenda; il resto sono pale eoliche e nucleare (!). C’è poi il fronte del riscaldamento domestico, da solo un 14% delle emissioni: il governo sta considerando la proibizione delle caldaie a gas nei nuovi alloggi entro il 2025.

I costi saranno esponenziali, ma mai come quelli imposti da un clima fuori qualsiasi controllo.

Tutte decisioni, per quanto lodevoli e necessarie, in surreale contrasto con quelle, keynesiane, per dare impulso all’economia: colossali, spesso inutili infrastrutture come la linea ferroviaria HS2, un vanity project peggio della Tav che le emissioni, anziché tagliarle, le manda fuor di metafora nella stratosfera.

C’è poi la questione “geopolitica” a incombere, su questa come su qualsiasi altra iniziativa economico-diplomatica di una Gran Bretagna che dal primo gennaio prossimo sarà ufficialmente scappata dalla casa europea. Non solo l’eco-leadership serve a Johnson per l’approssimarsi del summit virtuale sul clima che presiederà il prossimo 12 dicembre: lo aiuta a creare un legame con un Biden sì filo-europeo, ma anche e soprattutto impegnato a espiare l’ecocidio del predecessore Trump.

Che nella lotta a una pandemia prima della pandemia come il riscaldamento globale, dove agire disuniti è del tutto inutile, le trombonate nazionalistiche dell’isoletta che “guida il mondo” siano patetiche poco importa: basta che si sbrighino.

La beffarda realtà è che a fare le spese della bulimia energetica dell’occidente sono (ancora) gli alluvionati e i desertificati del Sudest del mondo senz’acqua o con l’acqua alla gola. Il 2020 sarà uno dei tre anni più caldi di sempre. Questo sonnambulismo verso l’abisso deve finire adesso.