Ancora nessuna decisione alla conclusione del settimo Eurogruppo dedicato alla Grecia, ieri a Lussemburgo, che doveva essere una volta di più quello dell’ultima speranza, perché il tempo stringe e tra 12 giorni Atene deve pagare 1,6 miliardi di rimborsi all’Fmi. Lunedì sera ci sarà un vertice straordinario dei capi di governo, questa volta davvero dell’ “ultima speranza”, preceduto da un eurogruppo “tecnico” alle 15.

Il 30 giugno scade anche la possibilità di ottenere i 7,2 miliardi dell’ultima tranche del secondo piano di aiuti. Per evitare il Grexit, Ue e Bce chiedono “serietà” ad Atene. Potrebbero concedere alla Grecia un “prolungamento” dell’accordo fino a fine anno e versare con il contagocce i 7,2 miliardi residui, mantenendo identiche richieste di “riforme” (pensioni, Iva, mentre sull’avanzo primario c’è un quasi accordo intorno al’1%). Mentre il Fmi potrebbe tirarsi fuori, senza cedere sul rimborso dovuto il 30 giugno.

Per tutto il pomeriggio è regnata la confusione. A creare il gelo è stata la direttrice dell’Fmi, Christine Lagarde, presente alla riunione dei ministri dei 19 paesi della zona euro perché, dal 2010, l’istituzione di Washington fa parte dei “creditori” (per volontà della Germania, con accettazione dell’allora governo Papandreu). “La Grecia sarà in default verso l’Fmi dal 1° luglio – ha affermato Lagarde – non ci sarà un periodo di grazia”.

Tutti, non solo i greci ma anche gli altri europei, avevano pensato che l’Fmi avrebbe adottato un atteggiamento più flessibile, cioè un mese di tempo per dichiarare il default nell’eventualità di un mancato rimborso. Ma la scelta greca, fatta all’inizio del mese, di non versare i 300 milioni di rimborso dovuti all’Fmi il 5 giugno e di accorpare tutte le scadenze a fine mese, ha irritato Lagarde. “L’Fmi ha la responsabilità verso la comunità internazionale, verso 188 paesi, dal Senegal allo Sri Lanka, passando per la Svizzera”, ha spiegato. All’intransigenza di Lagarde contribuisce anche la scadenza del suo mandato alla testa dell’Fmi, nel luglio 2016: per farsi rieleggere, non deve mostrarsi troppo lassista con un paese europeo.

Anche il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il cui mandato scade questo luglio, vorrebbe venire rieletto e per questo deve evitare di venire additato come uno dei responsabili di un default greco. Per questo nelle ultime settimane è stato meno drastico con Atene.

Nella bozza di documento in discussione ieri sera, c’era anche un riferimento alla ristrutturazione del debito, vecchia richiesta di Atene finora rifiutata dalla Ue, malgrado la “promessa” del novembre 2012, condizionata a un accordo sulle riforme. Nel primo pomeriggio, Dijsselbloem aveva precisato che “non abbiamo discusso la ristrutturazione del debito greco perché l’ordine logico delle cose è di ottenere prima di tutto un’intesa sui termini di accordo in materia di misure sul budget, riforme ecc. prima di guardare verso l’avvenire”. Ma Dijsselbloem ha aggiunto che le “promesse europee di aprire un negoziato sul debito con Atene sono sempre valide, ma prima Atene deve impegnarsi su un programma di riforme completo”.

 

Klaus Regling, alla testa del Mes e del Fesf (il fondo salva-stati) che è oggi il principale detentore del debito di Atene (131 miliardi), ha sostenuto ieri che “il debito greco è sostenibile, le maturità sono già in media a 30 anni e i tassi di interesse molto bassi. Non possono essere abbassati di più, abbassarli avrebbe un costo per il Fesf. Sulla maturità è un’altra storia”. La ristrutturazione potrebbe passare per questa strada, per quanto riguarda il debito verso l’Europa, mentre l’Fmi resta fermo a dieci anni di maturità (mentre spinge Ue e Bce a un hair cut). Allo studio anche l’ipotesi di misure “alla cipriota”, con un controllo dei capitali (2 miliardi usciti dalla Grecia nell’ultimo mese).

Non ha facilitato l’Eurogruppo la mossa di Alexis Tsipras, che ieri e oggi è a Mosca con vari ministri, al Foro economico di San Pietroburgo, e incontrerà Putin. Dagli Usa sono arrivate pressioni su Bruxelles per trovare una soluzione. Yanet Yellen, alla testa della Federal Reserve, ha messo in guardia: “Nell’ipotesi che non ci sia un accordo prevedo possibili perturbazioni che potrebbero danneggiare prospettive economiche in Europa e nei mercati finanziari nel mondo”.

La Banca centrale greca era intervenuta la vigilia dell’Eurogruppo, con inabituale allarme, prevedendo, in mancanza di accordo, “un default greco, poi a termine l’uscita del paese dall’euro e molto probabilmente dalla Ue”.

Poi tutti hanno cercato di gettare acqua sul fuoco: Tsipras ha rassicurato i tedeschi (secondo un sondaggio, al 58% favorevoli a un Grexit) che non sono loro le formiche a pagare per le cicale greche, Angela Merkel ha afermato che “quando si vuole, si puo’”. Il commissario Pierre Moscovici ha chiesto una “risposta seria” alla Grecia: “non voglio che l’Eurogruppo sia un’altra Waterloo”, ha detto nel giorno dell’anniversario dei 200 anni della sconfitta di Napoleone.