Joseph Stiglitz, premio Nobel dell’economia: «Gli Usa si sono mostrati generosi con la Germania, dopo averla sconfitta. Adesso è tempo per gli Usa di essere generosi con i nostri amici greci nel loro momento del bisogno, schiacciati per la seconda volta in un secolo dalla Germania, questa volta con il sostegno della troika». Il drammatico appello di Stiglitz su Time rivela la gravità della situazione. Il Nobel chiede alla Federal Reserve di aprire una linea di credito diretta alla Banca Centrale greca, per mostrare ai greci «tutta la solidarietà e l’umanità che i loro partner europei non sono stati capaci di dimostrare».

A Bruxelles i toni sono ben diversi. Atene ha spedito ieri a Fmi e Commissione intorno alle 21.30 l’ultima proposta dopo l’ultimatum post-referendario. Sabato il piano verrà sottoposto all’Eurogruppo, seguìto domenica da due vertici straordinari, prima dei capi di stato e di governo dei 19 paesi della zona euro, poi dei 28 della Ue, con la solita sequenza che mette in prima fila la risposta «tecnica».

La convocazione del Consiglio a 28 è un brutto segnale: significa che verrà messa sul tavolo l’ipotesi di «aiuti umanitari» alla Grecia, per l’alimentazione, le medicine, gli ospedali, che devono essere approvate dalla Ue tutta intera.

Significa, in altri termini, che la prospettiva di un Grexit è sempre più vicina. Lo ha detto Jean-Claude Juncker: «Abbiamo uno scenario di Grexit preparato nei dettagli».

Juncker ieri e oggi incontra delegazioni dell’opposizione greca, prima Nuova Democrazia, poi To Potami.

Le proposte greche, stando alle prime indiscrezioni, si piegano sempre più al diktat dei creditori: un piano di 12 miliardi su 2 anni, più drastico di quello precedente (che era di 8 miliardi), perché deve tener conto della recessione – prevista al 3% – aggravata in questi giorni dal soffocamento dell’economia a causa del blocco delle liquidità imposto dalla Bce.

Nel paese che più di tutti nella Ue ha già realizzato un aggiustamento colossale (12,5 punti sul deficit dal 2009), ci sarà un rialzo dell’Iva, come richiesto, dieci punti anche per l’alimentazione, cioè un aumento del costo della vita del 9%. Inoltre, i pre-pensionamenti verranno immediatamente bloccati, l’età della pensione alzata a 67 anni e nessuno potrà andare in pensione prima dei 62 anni, anche se ha 40 anni di contributi. Poi le liberalizzazioni, che riguardano alcune professioni regolamentate come i notai. E una manciata di aumenti di tasse sul lusso, sulle società, etc.

Tecnici francesi aiutano Euclide Tsakalotos a redigere il «piano».

Basterà? Non è certo. La Grecia, in cambio di questo nuovo giro di vite, chiede un piano di aiuti su tre anni (domanda già rivolta al Mes, il Meccanismo di stabilità, per 50 miliardi) e, soprattutto, la richiesta proibita: una ristrutturazione del debito. Christine Lagarde dell’Fmi, per la prima volta, ha ammesso che è «necessaria», come dicono da tempo gli economisti di Washington, raccomandazione che però i negoziatori della stessa istituzione non hanno mai preso in conto.

La Germania non ne vuole sapere. Luciferino, Wolfgang Schäuble si è dichiarato d’accordo a modo suo con l’Fmi: «È vero, la sostenibilità del debito greco non può essere raggiunta senza riduzione del debito». Peccato, ha aggiunto, che questa riduzione «è contraria alle regole dell’Unione». Per Schäuble «il margine di manovra per ristrutturare o riprofilare il debito è molto stretto».

Anche Angela Merkel ha precisato che una riduzione «classica» del debito greco «è esclusa». Secondo Merkel è già stata fatta nel 2012 rimandando «le scadenze del rimborso dei prestiti del fondo salva-stati fino al 2020».

Idem da Mario Draghi, sempre più scettico sulla possibilità di un accordo. La Bce scarica ogni responsabilità e potrebbe lasciar scivolare Atene nel Grexit: tra qualche giorno (dopo lunedì) il sistema bancario greco non sarà più solvibile, ci sarà un fallimento delle banche, seguito da un piano di ristrutturazione che significherà mettere le mani sui depositi bancari dei clienti. Poi arriveranno gli «aiuti umanitari» («aiuteremo i greci, se ne avranno bisogno» ha detto ieri il premier bulgaro, Borissov).

Ieri, solo il presidente del Consiglio, Donald Tusk, e il ministro delle finanze irlandese, Michael Noonan, hanno espresso un po’ di ottimismo. Tusk chiede un «progetto concreto e realista» ad Atene, ma «deve essere seguito, in contropartita, da un progetto altrettanto realista sul debito greco da parte dei creditori».