Mancano poche ore alla scadenza ultima, il rimborso di 1,6 miliardi all’Fmi che salvo un colpo di scena improbabile non sarà onorato. Non sarà il default immediato ma l’inizio di una procedura che, se nulla cambia, avrà inevitabilmente questa destinazione finale. Ma gli europei hanno passato la giornata a insultarsi e a scaricarsi reciprocamente le responsabilità dello stallo. Ha cominciato Jean-Claude Juncker, che si è detto “tradito” dal governo greco, che ha “spezzato lo slancio del compromesso in modo unilaterale” organizzando il referendum di domenica. Il presidente della Commissione ha chiuso l’apertura ventilata in mattinata dal commissario Pierre Moscovici, per il quale siamo “a pochi centimetri dall’intesa” e la “porta dei negoziati è aperta”. Nessuno a Bruxelles ha ascoltato la raccomandazione di riprendere il negoziato venuta dal segretario al tesoro Usa, Jack Lew (Obama ne ha parlato al telefono con Hollande).

Juncker ha invitato i greci a votare “si’”, perché un “no” sarebbe un “no all’Europa”, e “per paura della morte non ci si deve suicidare”. La situazione è surrealista, perché il referendum sarà sul testo di un accordo che nei fatti non esiste più. A Bruxelles e nelle capitali dell’Eurozona il risultato della consultazione popolare di domenica sarà letto come una scelta pro o contro l’appartenenza della Grecia all’Euro (e alla Ue).

Tsipras ha cercato contatti ieri. Ha telefonato a Juncker e a Martin Schultz (Parlamento), per chiedere di nuovo un’estensione del cosiddetto programma di “aiuti” almeno fino al referendum. “No way” per Bruxelles, che spera di avere presto altri interlocutori ad Atene. L’Europarlamento chiede un vertice straordinario e anche Schultz ha invitato i greci a votare “si”: prese di posizione che rischiano di favorire il “no”. Angela Merkel, che ha riunito i leader dei partiti, ha affermato che “la Germania è disposta” a riaprire il dialogo, sempre che “la parte greca ne senta il bisogno”. Ma per il momento Merkel aspetta il risultato del referendum e rifiuta un vertice straordinario. François Hollande, che ha presieduto in mattinata un consiglio ristretto all’Eliseo, ha condannato l’idea del referendum, proprio quando “eravamo molto vicini a un accordo”, anche se si rassegna alla consultazione popolare: “è democrazia, è un diritto del popolo greco di dire cosa vuole per il futuro”. Accuse di “menzogne” tra Tsipras e Juncker: per il presidente della Commissione il governo greco “mente” al suo popolo, mentre per il premier greco “il primo indice di buona fede in un negoziato è la sincerità”.

Ma una volta detto che tutti vogliono tornare a negoziare e che nessuno vuole che la Grecia esca dall’euro, la preoccupazione è di evitare il peggio in caso di Grexit. Le Borse tremano, i mercati sono in agguato, Merkel drammatizza: “la fine dell’euro sarebbe la fine della Ue”. Ci sono paesi a rischio sul fronte del debito pubblico. Tutti hanno cercato di rassicurare. Da Bruxelles insistono sul fatto che dal 2011 sono stati messi in atto dei parafulmini: il Mes (salva-stati), un abbozzo di Unione bancaria (dall’aprile del 2014, senza grandi passi avanti al momento, pero’), e anche la manovra di quantitative easing della Bce, che potrebbe comprare debito per evitare un effetto contagio a valanga, dalla Spagna al Portogallo, all’Italia, persino alla Francia nello scenario più nero. “Ci sono inquietudini che possono esistere sui mercati, ma voglio essere chiaro su questo punto – ha precisato Hollande – da vari mesi sono state prese misure molto importanti per consolidare la zona euro”. E la Francia “non è più nella stessa situazione di 4 anni fa”, ha “un’economia robusta”, vuole rassicurare Hollande.

La Bce è l’ultimo filo che lega la Grecia alla Ue. Francoforte non ha chiuso il rubinetto dell’Ela (liquidità di emergenza), l’ultimo rimasto, ma ha rifiutato un aumento dell’erogazione di 6 miliardi, richiesto ieri da Atene. In caso di “no” al referendum anche questa linea sarà chiusa e addirittura il Mes, stando a un articolo del Memorandum firmato da Atene nel 2012, potrebbe chiedere il rimborso dei prestiti, 150 miliardi. Come dire che il nodo scorsoio è sempre più stretto sul collo della Grecia, se non accetta i termini del negoziato proposti dai creditori.