La notizia è giunta ieri: il Parlamento greco ha dato il suo via libera alla riassunzione di circa 4.000 funzionari e impiegati pubblici, che erano stati licenziati negli ultimi due anni, a causa delle politiche di austerity richieste alla Grecia dagli accordi internazionali. Verranno quindi riassunti impiegati pubblici, insegnanti di istituti tecnici, bidelli e agenti della polizia municipale.

Per quanto riguarda invece i difficili equilibri delle trattative con l’Europa, si registrano progressi. Lo affermano ministri delle finanze dell’eurozona, compreso Schauble, e lo confermano fonti governative ad Atene: il clima nei colloqui tra tecnocrati è buono, la Grecia ha presentato proposte solidali e ha fatto marcia indietro su alcune richieste, nel tentativo di ottenere un «compromesso onorevole».

Si presume che non ci sarà un accordo nella prossima riunione dell’Eurogruppo fissata per l’11 maggio e quindi non sarà svincolata la tranche di prestiti da 7,2 miliardi di euro, o almeno di una sua rata, necessaria ad Atene per restituire, il giorno dopo, 750 milioni di euro al Fmi. Allarme ad Atene, ma niente panico.
Varoufakis ha incontrato ieri Padoan a Roma, il suo collega francese Sapin e il commissario Ue agli Affari economici, nell’ambito di un tour nelle capitali europee. Varoufakis avrebbe specificato che «l’11 maggio verrà fatto un ulteriore passo verso un accordo finale». Ma perché questo ritardo per l’intesa? È colpa di Atene e della sua intrasigenza, come sostenevano i ministri delle finanze a Riga?

Oppure dei creditori internazionali, che insistono sulle vecchie ricette, su una nuova austerity in Grecia senza tener conto del voto del 25 gennaio e del fatto che il governo del Syriza-Anel ha come priorità far fronte alla crisi umanitaria?

A leggere un’analisi del Megaro Maximou, sede del governo greco, «le gravi controversie e le contrapposizioni tra il Fmi e l’Ue generano intoppi alle trattative e alti rischi». Il Fmi insiste sulle riforme per le pensioni e il lavoro, mentre vorrebbe la ristrutturazione del debito per farlo diventare sostenibile. La Commissione, invece, ha «linee rosse» per l’avanzo primario e di conseguenza non vuole sentir parlare di hair-cut del debito, mentre mantiene «linee morbide» su pensioni e lavoro. Il risultato, per il governo greco, è che «le istituzioni nel loro insieme non retrocedono. Il compromesso non può essere raggiunto, perché non riescono a mettersi d’accordo». Per questo Tsipras «ha deciso di non legiferare le riforme prima di un accordo e di far uscire il paese nei mercati appena ci sarà un’intesa».

Che ci siano discrepanze tra il Fmi e l’Ue è noto. Ma prima di Atene è stato il Financial Times a metterle in evidenza. Secondo il Ft, all’Eurogruppo di Riga il capo di dipartimento per l’Europa del Fmi Thomsen, avrebbe chiesto ai ministri delle finanze europei, vale a dire agli altri due membri dell’ex troika (Ue, Bce) una ristrutturazione del debito greco.

Nel caso non si arrivasse all’hair-cut, Thomsen ha avvertito i suoi interlocutori: «il Fmi probabilmente non verserà la quota di sua competenza, cioè la metà dei 7,2 miliardi di euro dell’ultima tranche di aiuti ad Atene». «L’eurozona, invece – aggiunge il Ft – che possiede la maggior parte del debito greco è contraria al taglio».
Bruxelles, infatti, è in disaccordo, perché nel 2012 c’era già stato un taglio per 100 miliardi di euro, ma anche per altri due fattori: il Fondo presta Atene con un interesse pari a 3,5%, mentre l’Ue con 0,6%. Inoltre, l’hair-cut avrebbe ripercussioni sui partner europei.

I dati macroeconomici presentati pochi giorni fa dalla Commissione europea sull’andamento dell’economia ellenica – però – erano un buon regalo al Fmi. Secondo il rapporto Ue il Pil è di appena lo 0,5%, quindi si registra una crescita inesistente con il debito pubblico che supererà la soglia del 180% del Pil nel 2015, e il deficit dell’anno precedente attestato al 3,5% perché «l’incertezza politica aumentata dall’autunno del 2014 ha determinato un significativo calo delle entrate dello Stato alla fine del 2014 e nei primi tre mesi del 2015».

Ora il Fmi sostiene che «non ha spinto per un grosso taglio del debito, come suggeriscono alcuni articoli della stampa». Ma la sostanza delle cose rimane. Secondo il Fondo è necessaria la ristrutturazione del debito greco, ma anche un nuovo finanziamento (il terzo se avverrà) di Atene, ovvero un nuovo programma «lacrime e sangue».
Intanto a Bruxelles i tecnici concordano, o almeno sembrano disposti a mettere da parte alcuni argomenti spinosi (aumento del salario minimo, rafforzamento dei diritti dei lavoratori, stop ai prepensionamenti, aumento dell’Iva).

L’esecutivo greco si rende conto che la recessione non è solo frutto di una prolungata austerity, ma anche del prolungamento delle trattative che a sentire i bottegai fa soffrire il commercio. Già nei primi tre mesi del 2015 hanno chiuso 5.341 imprese ad una media di circa 59 chiusure al giorno.

Alla fine di aprile le pensioni dei fondi statali e della previdenza sociale (Ika) sono state pagate all’ultimo momento in quanto il denaro necessario è stato accreditato sui conti correnti dei beneficiari in the last minute, sconvolgendo migliaia di pensionati. I partner europei, del resto, sanno che un default sarebbe difficile da gestire e pure i creditori internazionali sarebbero pronti ad un compromesso.
L’accordo sul piano delle riforme, é vero, potrebbe essere molto vicino, ma sarebbe una specie di moratoria fino al mese prossimo.