Tanto tuonò che non piovve. Almeno per ora. Al terrorismo di prima non è seguito poi il crollo dei mercati finanziari il giorno dopo il voto di Atene. Anzi. I mercati europei reggono l’onda d’urto degli esiti del voto che portano al governo Syriza, seppure in coalizione con un piccolo partito di destra. Dopo la mattinata di due giorni fa, dall’andamento altalenante, hanno chiuso perfino in netto rialzo. Il giorno dopo la Borsa di Atene fa un tonfo. Ma questo appare più la conseguenza delle annunciate misure di politica economica del nuovo governo che non del timore sui contraccolpi delle richieste di ristrutturazione del debito.

In effetti il blocco della privatizzazione del Pireo e del porto di Salonicco (emblema di un piano di privatizzazioni più generale da fermare); il rientro al lavoro delle donne della pulizia del Ministero delle Finanze e degli addetti si servizi ausiliari delle scuole (licenziati dai precedenti governi e perciò emblematici); il ripristino della tredicesima per i pensionati al di sotto dei 700 euro; quello del salario minimo ai livelli antecedenti la crisi e dei contratti collettivi di lavoro; il rilancio degli investimenti pubblici sono un boccone indigesto per stomaci guastati dall’austerity.

Al tonfo però è seguito immediatamente un rimbalzo, proprio alla vigilia dei primi incontri in programma oggi tra Tsipras e i presidenti del Parlamento europeo, Martin Schulz, e dell’Eurogruppo, l’impronunciabile Jeroen Dijsselbloem. La Merkel e ancor più Schauble continuano a lanciare segnali di intransigenza. Ma l’impressione è che siano più attutiti. E che, in fondo, il programma proposto da Syriza sia non solo giusto ma anche attuabile e realistico. Qualche autorevolissimo giornalista economico si domanda persino se non è proprio grazie a quel programma che si salverà l’Euro e l’Europa. Ed è molto vicino al vero.

Di solito si cita la ormai celebre conferenza di Londra del 1953 ove venne condonato gran parte del debito contratto direttamente con altri stati dalla Germania, perché serviva che la sua ricostruzione funzionasse da baluardo contro il comunismo sovietico.

Ma è ancora più utile citare un precedente più lontano. Franklin Delano Roosvelt negli anni ’30, quatto quatto, perché gli elettori non se ne accorgessero, concesse una dilazione fino al 1991 sul pagamento dei debiti che la Gran Bretagna doveva agli Usa. Si dice che qualche cosa del genere sia già stato previsto anche per la Grecia. I viaggi effettuati nella City da parte di esponenti di Syriza non erano solo propaganda. Atene potrebbe finire di pagare il debito restante nel 2057 e non dovrebbe versare un euro fino al 2020. Pare quindi che, malgrado facciano la voce grossa, anche i settori più intransigenti si siano convinti che un default traumatico della Grecia con conseguente fuoriuscita dall’euro non convenga a nessuno.

Il problema non è risolto, ma è posto in modi meno drammatici di prima. Certamente il braccio di ferro si farà ancora più duro di fronte al fatto che la Ue non intende fare partecipare la Grecia ai benefici della quantitative easing messa in atto da Draghi, se non accetterà la riduzione del deficit del 2% del Pil. Ma le promesse di intervento sociale – già in via di attuazione – del nuovo governo greco comportano almeno una spesa pari al 7% del Pil. Qui ci sarà lo scontro. Ma se a difesa di quelle misure si stringerà la grande maggioranza del popolo greco, supportato da una solidarietà internazionale attiva, non sarà impossibile trovare compromessi vantaggiosi per un’economia che in fondo rappresenta il 2% del Pil e il 3% del debito dell’Eurozona.

Non è il debito greco che può determinare una perdita per i cittadini degli altri paesi, ma le politiche di austerità. Non solo, ma c’è chi ci ha speculato sulle disgrazie greche. I precedenti salvataggi non hanno pesato sulle tasche dei contribuenti, sia tedeschi che non. I loro governi ci hanno persino guadagnato. Gli «aiuti» di Draghi tra il 2012 e il 2013 hanno prodotto 2 miliardi di euro di interessi attivi netti, metà dei quali provenienti dai titoli greci. Anche i due precedenti aiuti alla Grecia hanno germogliato interessi. Risorse per una trattativa ci sono, senza mettere in ginocchio alcuno.

Ciò che spaventa le elites europee non è tanto la ristrutturazione del debito greco, ma assai più il fatto che l’intera vicenda dimostra l’assurdità e l’impraticabilità del fiscal compact. Guarda caso, proprio quello che interessa a noi.