Siamo al 27 luglio 1914? Cioè, alla vigilia di un passo che ci getterebbe in una nuova catastrofe europea e non solo, come allora? I segnali che giungono da Bruxelles sono poco rassicuranti. Non tanto e non solo per le parole da rottura definitiva. Bensì per l’altalena che le ha precedute. Solo lunedì scorso la riunione dell’Eurogruppo si era chiusa con un quasi-accordo, che tutti davano per sicuro a fine settimana. Invece, il giorno dopo, il testo che il giorno prima era non-inaccettabile, diventò da rigettare senza riserve.

Inoltre, una lettura attenta del testo «corretto» dalle «istituzioni» mostra che le correzioni erano sì dure e puntigliose, ma non insormontabili. In realtà i commentatori si era attenuti non al testo ma alle dichiarazioni dalla Lagarde a Schäuble, passando per Dijsselbloem e Tusk. Dichiarazioni, inattese, di chiusura totale.

L’impazzimento forse neppure conscio, e quindi pericolosissimo, di questi gruppi dirigenti europei è tutto racchiuso nelle parole di Dijsselbloem: «Dobbiamo salvaguardare la stabilità dell’eurozona». Come pensa di salvaguardare la stabilità europea? Precipitando Grecia e Europa nel caos di quelle acque inesplorate che Draghi inascoltato ha evocato tempo fa? Se c’è qualcosa che minaccia la stabilità è il default greco.

E allora ci si chiede: ma hanno chiare le conseguenze? Pensano davvero che con Portogallo e Italia pericolanti, e Irlanda e Spagna solo nella propaganda storie di successo, sia affrontabile la ripetizione di un assalto ai debiti sovrani? Pensano davvero che, con le tendenze centrifughe emerse in tutte le elezioni l’umiliazione totale della Grecia le reprima e non le faccia invece esplodere? Pensano davvero che una Grecia messa con prepotenza con le spalle al muro non accetti le pro–poste di aiuto russo domani?

Pensano davvero che il caos ucraino, causata dall’aver appoggiato la dirigenza di Kiev, di un paese in fallimento, inquinata da una presenza filonazista, incapace di controllare il suo territorio, e che vede nel confronto armato con la Russia l’unica possibilità di sopravvivenza, possa essere stabilizzato dall’apertura di un arco di crisi che dall’Ucraina arriva alla Grecia, via Serbia?

Che non si chiude con i tanks, ma con i missili? E allora ci si chiede se quel convitato di pietra, gli Usa, che ripetutamente nel 2011 e nel 2012 aveva impedito all’ostinazione tedesca di precipitare l’Europa e la finanza mondiale nel caos, convincendo la Merkel ad appoggiare la linea Draghi del whatever it takes, siano davvero determinati a impedire oggi che si apra l’arco di crisi nel fianco Est della Nato? E se anche lo fossero, sono davvero in grado di imporlo? (Obama, oggi, governa?). La sensazione è che non a Bruxelles, ma neppure a Berlino o Washington, ci siano teste fredde per affrontare la crisi.

Sarebbe ora che cominciassimo a organizzare un forte voce di appoggio della sinistra italiana alla Grecia. Per ringraziarla di quello spirito del 28 ottobre 1940 che, come ha ricordato Varoufakis, sostenne la Grecia nel rifiutare l’ultimatum italiano; così come oggi può sostenerla nel rifiutare quello europeo.