Difficilmente ci sarà un accordo alla riunione dell’Eurogruppo di domani a Bruxelles. Il negoziato tecnico tra Varoufakis e i «18» per il pacchetto delle riforme ad Atene era fino all’ ultimo in alto mare, che vuol dire blocco dei 7 miliardi di euro necessari a Tsipras per far fronte ai suoi «doveri» nei confronti dei creditori internazionali. Ma anche se ci fosse un deal sforzato all’Eurogruppo, i partner non hanno intenzione di dare tempo e spazio ad Atene. Nonostante l’accordo ottenuto all’Eurogruppo del 20 febbraio, i partner vorrebbero che Atene rispettasse le regole, ovvero che Tsipras dimenticasse le sue promesse elettorali, e prendesse delle misure simili a quelle applicate dai governi precedenti, una nuova austerity.

L’establishment politica europea forse non si rende conto che le sue pressioni, pongono sull’orlo di uno strangolamento economico il neo governo. Atene è alle strette. Non c’è alcun rischio per i depositi, ha assicurato il governatore della Banca centrale ellenica, ma la mancanza di liquidità è evidente e l’eventualità di un default non è da escludere. Certo, si sapeva ampiamente in anticipo, al di là di quale sarebbe stato l’esito elettorale, che marzo sarebbe stato un mese difficile per le finanze elleniche. Il governo greco deve sborsare una bella somma (quasi 7 miliardi di euro) ai suoi creditori (venerdì ha versato 310 milioni dai 1,5 miliardi che deve questo mese al Fmi).

Ma guarda caso, questa mancanza di liquidità nelle casse greche coincide con le trattattive per le riforme, parte del vecchio memorandum secondo le istituzioni, misure che comunque devono essere applicate a sentire Atene. E a questo punto comincia il negoziato. Il documento di sei pagine con la lista delle riforme presentato all’Euroworking group è indicativo delle intenzioni del neo governo ellenico. Lotta alla corruzione e il contrabbando, riforma del pubblico impiego, guerra aperta contro l’ evasione fiscale, la burocrazia, il clientelismo e persino un impegno a non bloccare le privatizzazioni. In più il blocco della confisca della prima casa di chi non è in grado di pagare le rate dei mutui. Tutto ben calcolato: 7 miliardi di euro entreranno nelle casse dello Stato.

Come hanno reagito le istituzioni? Negativo. Non è sufficiente, è molto vago, rispondono i tecnocrati a Bruxelles.

La Bce che a sentire Draghi «non é una istituzione politica» ed «è fondata sulle regole» non si interessa del negoziato, ma decide di chiudere i rubinetti. Atene non avrà accesso al Quantitative Easing (Qe) in attesa di passare gli esami e non avrà, come aveva chiesto, un rialzo del tetto di 15 miliardi di euro per l’emissione a breve scadenza di titoli di Stato. Il governatore della Bce ragiona da tecnocrate, ma la sua decisione è puramente politica.

Se le banche greche non possono consegnare titoli di Stato fino a quando il Paese otterrà il via libera dalle istituzioni, vuol dire che Atene non può pagare i suoi debiti. Draghi ha ricordato anche che l’Eurotower ha già prestato 100 miliardi di euro alle banche greche, una cifra superiore a quella concessa a qualunque altro paese dell’ Eurozona, ma «ha dimenticato» che soltanto il 10% dei prestiti sono stati assorbiti per i bisogni interni del Paese; il resto va per gli interessi e le quote del debito, quindi ritorna ai creditori. «La Bce ha una corda intorno al nostro collo» ha detto Tsipras allo Spiegel.

E riferendosi alle critiche di Alexis Tsipras ai governi di Madrid e di Lisbona accusati di «aver tentato di spingere i negoziati sull’orlo del precipizio per ragioni di politica interna», Jean-Claude Juncker ha preso la parte di Mariano (Rajoy) e di Pedro (Coelho). Insieme a loro con uno spirito di cattiveria contro Tsipras parte della stampa. «Brillano per assenza (dalla lista) molte delle promesse elettorali di Syriza» scriveva La Repubblica, senza tener conto di un semplice dettaglio. Il neo governo ha già messo in atto un insieme di misure per far fronte alla crisi umanitaria, ma visto che non hanno alcun costo nel bilancio, non é obbligato a farle rientrare nell’ elenco delle riforme presentato a Bruxelles. La luce gratis alle 300 mila famiglie più povere, la rifondazione della radiotelevisione pubblica Ert con l’assunzione del personale licenziato, l’assistenza sanitaria gratuita per i disocupati sono misure che vengono escluse dal negoziato di Bruxelles.

Quaranta giorni dopo la vittoria della sinistra radicale in Grecia, secondo Bruxelles e Francoforte, non è stato costruito ancora un rapporto di fiducia tra i partner europei e il nuovo governo di Syriza-Anel. In realtà c’è un vuoto di comunicazione o meglio politico. Tsipras e Varoufakis, secondo i partner europei, sono troppo arroganti, poco gentili nei confronti delle istituzioni e non rispettano i patti. In altri termini le istituzioni, ovvero la Commissione europea, la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale vorebbero degli interlocutori ad Atene pronti a dimenticare le promesse elettorali. Ed è proprio questo che infastidisce l’estabilishment: il premier greco insiste e vuole applicare almeno una parte del programma di Salonicco. A sentire, invece, Atene, l’Eurotower e insieme a esso tutto l’establishment europea cercano di strangolare il governo greco, di fare rimangiare le promesse elettorali. I partner europei danno l’ accento al livello istituzionale, «nascondendo» gli obiettivi politici e economici; Atene dà priorità alla politica, sottovalutando le regole dell’Ue.

Le cose saranno più chiare il prossimo mese quando comincerà la partita finale tra i creditori internazionali e il governo ellenico, per portare il Paese di nuovo alla normalità.