Le pressioni degli Stati uniti sull’Europa per trovare una soluzione alla questione greca ed evitare un Grexident, un “incidente” non programmato, sono forse sul punto di ottenere un risultato. Ieri a Dresda, al G7 che riunisce fino a venerdi’ i ministri delle finanze delle sette nazioni più industrializzate e i governatori delle banche centrali, compreso Mario Draghi della Bce, era in preparazione un testo di accordo tra i creditori e la Grecia. Atene deve rimborsare 302,5 milioni all’Fmi entro il 5 giugno. Resta poco più di una settimana per questa scadenza, poi incombono i prossimi appuntamenti: il 12, il 16 e il 19 giugno, in tutto il mese prossimo 1,6 miliardi. “Non daremo questi soldi perché non li abbiamo”, ha avvertito qualche giorno fa il ministro degli interni greco, Nikos Voutis, senza causare nessuna reazione ufficiale da parte dei creditori, impegnati in queste ore in un difficile negoziato con Atene. Yanis Varoufakis ha poi cercato di rassicurare: pagheremo l’Fmi se c’è un accordo, che dovrà sbloccare l’ultima tranche di 7,2 miliardi del secondo piano di aiuti (130 miliardi) concesso alla Grecia. Ma gli Usa sono ormai preoccupati, perché a forza di tirare la corda questa potrebbe spezzarsi. “Un errore di calcolo – ha affermato il segretario al Tesoro Usa, Jack Lew – potrebbe portare a una crisi che sarebbe potenzialmente molto dannosa”. I creditori riuniti nel Brussels Group non mostrano più un fronte granitico, ognuno cerca di difendere i propri interessi: il Fondo Monetario internazionale, che ha prestato 32 miliardi alla Grecia con una scadenza relativamente breve (10 anni), pretende “riforme” ad affetto rapido, come un taglio netto alle pensioni e al numero dei funzionari pubblici, per riequilibrare i conti dello stato. La Commissione è più flessibile su questo fronte, ma anch’essa chiede “riforme” e austerità. Varoufakis ha detto che la Grecia è pronta a fare riforme – agenzia indipendente per il fisco, eccedente primario “ragionevole”, privatizzazioni “sensate” combinate a un rilancio degli investimenti, anche una riforma delle pensioni ma che permetta una sostenibilità a ungo termine del welfare. Ma rifiuta l’austerità come solo orizzonte. Alexis Tsipras ha chiarito che Atene “non risponderà a domande irrazionali”, che sono un “rimedio peggiore del male” secondo Varoufakis. Per Lew, “la sfida per gli europei, le istituzioni economiche e politiche, l’Fmi, consiste a mostrare una flessibilità sufficiente”. Per Lew, “se i greci sono pronti a prendere le misure difficili che devono prendere, troveranno i mezzi per risolvere la situazione senza scatenare una crisi superflua”, altre acque agitate a partire da un’economia che non pesa più del 2-3% del pil della Ue.

Gli Usa si preoccupano della soluzione alla crisi greca per due motivi. Politico, perché non hanno nessuna voglia di avere la Grecia di traverso nel Mediterraneo in subbuglio, pronta ad avvicinarsi alla Russia in un periodo di rinnovate tensioni, a cominciare dalla crisi ucraina. Ma Lew di preoccupa anche dei risvolti economici del terremoto che susciterebbe un default greco, inevitabile se il 5 giugno non sarà pagato il rimborso all’Fmi (mai un paese non ha rispettato la scadenza con l’istituzione di Washington senza fare default). Il vertice del G7 di Dresda, difatti, è dedicato alla riflessione delle sette economie più forti del mondo a come sostenere la ripresa economica, che si mostra ancora molto fragile ed è minacciata da più parti. Il famoso “allineamento dei pianeti” che avrebbe dovuto rilanciare l’economia mondiale comincia difatti a mostrare qualche disordine, il prezzo del petrolio, per esempio, sta riprendendo a crescere e c’è turbolenza sui mercati delle obbligazioni. La Cina e il suo crescente potere economico è al centro del G7 di Dresda. In discussione c’è l’inclusione dello yuan nel paniere dei Diritti speciali di prelievo, la “moneta” dell’Fmi. Gli Usa frenano il più possibile, ma non sono riusciti ad impedire che gli alleati europei raggiungessero la Banca asiatica per le infrastrutture (AIIB), un progetto di Pechino (che oltre agli Usa ha lasciato di marmo il Giappone).