«Per i membri della chiesa frequentare la santa messa e ricevere la comunione con il calice comune della vita non può essere causa di malattie trasmissibili». Lo ha affermato in una nota ufficiale il Sacro sinodo, corpo che governa la chiesa ortodossa ellenica, dopo che anche in Grecia è arrivato il coronavirus. La preoccupazione principale riguarda le modalità della comunione ortodossa, in cui il prete distribuisce pane e vino tra i fedeli usando per tutti lo stesso cucchiaio. La rassicurazione ecclesiastica segue quella di Eleni Giamarellou, infettivologa dell’università di Atene, e di vari deputati del partito di governo di Nea Dimokratìa. Per tutti la sacralità del sacramento esclude le possibilità di contagio.

CONTRO SIMILI DICHIARAZIONI, e in generale contro l’attendismo del governo, è insorta la Federazione greca dei sindacati dei medici ospedalieri (Oenge). Da due settimane chiede misure straordinarie per contenere la diffusione del virus e aumentare la capienza dei posti letto in terapia intensiva. «È triste sentire i vescovi che dicono la qualunque e vedere che il ministro della Sanità ha paura di smentirli – dice al manifesto Panagiotis G. Papanikolaou, neurochirurgo dell’ospedale del Pireo e segretario generale Oenge – L’atteggiamento del governo è pericoloso: fino a ieri non aveva fatto nulla». Solo con il numero dei casi salito a 88, di cui uno in condizioni critiche, il premier Kyriakos Mitsotakis ha ordinato la chiusura di scuole e università per i prossimi 14 giorni.

«QUANDO ABBIAMO CAPITO cosa stava accadendo in Italia dalle informative dei colleghi – continua Papanikolaou – abbiamo chiesto immediatamente l’aumento dei 565 posti letto in terapia intensiva disponibili sul territorio greco e quasi completamente occupati da pazienti con problemi diversi dal Covid-19. Fino a oggi non ne hanno aggiunto neanche uno. Lo scenario è preoccupante: il sistema è stato messo in ginocchio da crisi economica e politiche neoliberali. Già prima dell’epidemia mancavano 850 medici e 20 mila infermieri».

LA SANITÀ GRECA ha sofferto i violenti tagli alla spesa pubblica imposti dai memorandum europei. Soprattutto tra il 2010 e il 2015. Ne sono scaturiti mancanza cronica di personale sanitario e di strumentazioni adeguate e incapacità di far fronte ai bisogni della popolazione, anche nei casi di patologie gravissime. Le riforme neoliberali hanno di fatto cancellato l’universalità del sistema escludendo i migranti senza documenti e i disoccupati greci. Questa parte di popolazione (schizzata dal 12,71% del 2010 alla percentuale record di 27,47% nel 2013) era coperta dall’assicurazione pubblica solo nel primo anno di disoccupazione. Dopo per curarsi era costretta a pagare prezzi inaccessibili. La situazione è andata avanti fino alla riforma votata da Syriza nel 2016 che ha esteso la copertura del servizio, ma senza risolvere i problemi del suo cronico definanziamento.

«HO AVUTO UN CANCRO ed enormi difficoltà di accesso al sistema sanitario – racconta Maria Papakanellou, libera professionista di Salonicco – Cosa potrebbe accadere con un’epidemia? Abbiamo una doppia responsabilità nel non diffondere il contagio: individuale ma anche sociale, verso una società impoverita e con un sanità pubblica e un governo incapaci di affrontare l’emergenza. Da 15 mesi sono di nuovo disoccupata e adesso penso: meglio così, stando a casa ho meno possibilità di contrarre il virus».