L’hashtag #GraziePresidente viene lanciato su twitter poco prima delle 11 di mattina dal team della comunicazione di Palazzo Chigi. Ed è subito un successo, una valanga. Sulla spinta propulsiva degli entusiasti follower la formula si espande nell’etere, viaggia sui social, sfonda i confini della rete, rimbalza nei talkshow. Resta graniticamente alla vetta della classifica trend topic per tutto il giorno fino a tarda sera.

L’elogio a Napolitano ieri è stato la variante quotidiana del conformismo dell’era delle larghe intese: politici, portaborse e aspiranti tali, ma anche semplici cittadini ancora appassionati della materia (ne resistono a migliaia, ma solo sui social network) si sono sfidati in una gara al soffietto più ispirato. Non si coniava un tormentone di una insistenza e consistenza mielosa dai tempi di «Scusaci Principessa», il titolo che l’Unità piazzò in prima pagina il giorno della morte di Lady Diana.
Ma era il 1997, all’epoca non c’era internet (oggi purtroppo non c’è l’Unità), i titoli e i claim erano esclusiva di pochi fortunati giornalisti. Oggi tutti possono cimentarsi, ai follower l’ardua sentenza. E così c’è il ministro-scrittore Franceschini che usa formule poetiche e immaginifiche, «una roccia fra mille bufere e intemperie»; il peone dem che esagera e candida il presidente «al Nobel della politica». C’è chi suona la fanfara («ci ha reso fieri di essere italiani», Gianni Pittella; «il suo operato passerà alla storia», Alessandra Moretti), chi gli rivolge un pensiero più intimista («un buon padre», Renato Soru), chi lo nomina padre della patria, chi «nocchiere della nave in tempesta», chi si commuove davanti all’Iphone (Pina Picierno). C’è il cittadino che senza di lui si sente «più solo», quello che lo ringrazia «a nome della democrazia». L’irresistibile fascino della santificazione twittarola conquista persino chi non lo ha votato, quel 22 aprile: e così gli ex vendoliani oggi Pd, all’epoca sprezzanti contro il secondo mandato di chi avrebbe cementato le larghe intese, cambiano verso e cinguettano affettuosità postume. Ma non sono i soli ad arrendersi alla gratitudine. L’ex pm Antonio Ingroia, che a proposito dell’inquilino del Colle si era spinto fino a parlare di eversione, nel momento del commiato si emenda, o se non si emenda almeno si contiene: e lo ricorda per aver (solo) «sconfinato oltre i poteri stabiliti dalla Costituzione».

Ma il fuoco del ringraziamento non colpisce solo i politici. Ci sono addirittura giornalisti, razza solitamente scettica di fronte al dilagare dei buoni sentimenti, che nella nausea del Transatlantico si consolano con la sua presenza («pensavi: per fortuna però c’è lui», Fabrizio Roncone, Corriere della sera); altri che lo compiangono «per quante ha dovuto subirne». Di fronte a tanto trasporto, persino il «bye bye» di Daniela Santanché sembra una boccata di laicità. E i commenti dei grillini, che contro Napolitano avevano pure tentato una fantasiosa richiesta di impeachment, stavolta sembrano appena degli onesti promemoria del novennato: «#GraziePresidente per averci definiti eversori» e «Per aver firmato il lodo Alfano».