Il sei dicembre prossimo la Spagna celebrerà i 40 anni della sua costituzione. Una costituzione nata in una delicata fase storica di transizione fra un regime franchista, formalmente allora ancora vigente, e un erede del dittatore, nominato da Franco stesso, il re Juan Carlos, che cercava di traghettare il paese verso l’orbita democratica europea ma senza intaccare i suoi privilegi di monarca. E uno dei pilastri del regime franchista era stata senza dubbio la chiesa cattolica. Non a caso, contemporaneamente alla discussione della nuova costituzione si negoziava un nuovo concordato con la chiesa, che venne approvato solo un mese dopo, nel gennaio del 1979.

Pur garantendo «l’aconfessionalità dello stato», la costituzione lasciava ampli margini di manovra perché il concordato confermasse e cristallizzasse alcuni dei privilegi di cui gode ancora oggi la chiesa cattolica spagnola e che sono stati ampliati da una serie di leggi successive risalenti ai primi anni Ottanta. Per esempio l’esenzione dell’equivalente dell’Ici (che qui si chiama Ibi), non solo per gli edifici di culto, ma anche quelli di titolarità ecclesiastica, per un totale che si stima fra i 700 milioni e i 3 miliardi di euro all’anno. O la spesa di 4 miliardi e mezzo all’anno fra stipendi degli insegnanti di religione e finanziamenti alle scuole private, o 3 miliardi per ospedali gestiti da entità religiose. Per non parlare dei 500 milioni per la conservazione dei beni culturali in mano alla chiesa. A questi soldi, si aggiungono i 250 milioni all’anno che entrano nelle casse ecclesiastiche grazie all’equivalente dell’8 per mille (che qui è il 7 per mille). E poi ci sono i funerali di stato, obbligatoriamente cattolici (in un paese così avanzato in questo campo che esistono luoghi, chiamati «tanatori», destinati alla cura e esposizione a famiglia e amici dei defunti che danno la possibilità di celebrazioni laiche). O i più di 140 cappellani cattolici (sempre pagati dallo stato) e 83 sacerdoti che curano le anime dei soldati e un arcivescovo (con rango militare): altri 3 milioni di euro di stipendi.

Pedro Sánchez è stato il primo presidente del governo a prendere possesso del suo incarico senza giurare sulla bibbia e con il crocifisso davanti: una possibilità per qualsiasi funzionario pubblico ma di cui nessun presidente del governo aveva usufruito finora. Un chiaro segnale che le cose per la chiesa cambieranno, se i socialisti rimangono in sella.

È della settimana scorsa un colloquio fra la vicepresidente spagnola Carmen Calvo con il segretario di stato vaticano Parolin dove, oltre alla patata bollente della sepoltura di Franco (i famigliari ora vorrebbero seppellirlo nella cattedrale dell’Almudena, dove possiedono una tomba), Calvo ha anticipato al Vaticano l’intenzione dell’esecutivo Sánchez di togliere l’esenzione dal pagamento dell’Ibi a tutti gli edifici non di culto di proprietà ecclesiastica.

Altro tema scottante è la legge voluta da Aznar negli anni ’90 che estende una legge franchista degli anni 40 e permette alla chiesa di attribuirsi la proprietà di migliaia di immobili, in una sorta di compensazione per le espropriazioni degli anni 30 durante la II Repubblica spagnola. Non è chiaro ancora quanti beni la chiesa ha sottratto in questo modo allo stato e a privati cittadini: ma il caso più famoso è senz’altro quello della moschea di Cordova, che oggi è di proprietà della chiesa (come sa chiunque abbia pagato il biglietto per entrarci). Il governo Sánchez vorrebbe rivedere la norma.