La rivista Science ha pubblicato i risultati di una sperimentazione di una nuova terapia genica contro la distrofia di Duchenne, una malattia genetica che colpisce circa 300mila bambini (perlopiù maschi) nel mondo. La terapia è basata sulla tecnica Crispr ed è stata sperimentata su un piccolo numero di cani affetti dalla stessa mutazione genetica. I ricercatori hanno osservato un aumento della distrofina, la proteina che scarseggia nei malati di distrofia di Duchenne causando il deperimento dei muscoli. L’aspettativa di vita dei malati, attualmente, è di circa 30 anni di vita.

La distrofia di Duchenne è causata da alcune mutazioni genetiche che bloccano la produzione di distrofina. Negli ultimi anni i ricercatori hanno cercato metodi sempre più efficienti per disattivare la parte difettosa del gene responsabile. La tecnica Crispr serve proprio a modificare con precisione i geni, i segmenti di Dna che permettono alle cellule di assemblare le proteine. Nel caso della distrofia, un virus innocuo trasporta nelle cellule muscolari un enzima (denominato Cas9) che tagliare il Dna nel punto desiderato e modifica il gene in modo permanente. In questo modo, il paziente non deve sottoporsi a periodiche assunzioni di un farmaco, come avviene con altre terapie geniche già approvate. Nei cani sottoposti a questa terapia, i livelli di distrofina sono risaliti abbastanza perché i muscoli mantengano la funzionalità.

La scoperta è stata realizzata dal team dell’università del Texas guidata da Eric N. Olson, ed è stata finanziata dall’organizzazione no-profit CureDuchenne, che riunisce pazienti e ricercatori. L’università ha già richiesto un brevetto, che sicuramente farà gola a qualche grande casa farmaceutica.

Ci vorranno anni, però, perché i pazienti abbiano a disposizione una terapia. Innanzitutto, la sperimentazione ha riguardato un piccolo numero di animali e per avere risultati più affidabili è necessario ripeterla su numeri più elevati e tempi più lunghi. Inoltre, il livello di sicurezza della tecnica Crispr non è ancora ben conosciuto. Infatti, c’è il rischio che l’enzima Cas9 tagli il Dna anche in punti non desiderati, provocando mutazioni genetiche dannose. Finché questo rischio non sarà eliminato, sarà difficile che la tecnica Crispr venga applicata sull’uomo.

Infine, c’è un prevedibile problema di costo. Un’altra terapia genica per la distrofia di Duchenne (il farmaco Exondys 51 della Sarepta, approvata però solo negli Usa) costa circa trecentomila dollari l’anno e deve essere somministrata per tutta la vita, non essendo basata su Crispr. Le terapie geniche anti-tumorali approvate in Europa nei giorni scorsi negli Usa vengono vendute a prezzi ancora superiori. Si tratta di terapie brevettate, in regime di monopolio a malati disposti a pagare qualunque prezzo, non avendo alternative. In queste condizioni, se si lascia che il prezzo dei medicinali sia fissato dal mercato, è naturale che schizzi alle stelle. Però, nel caso della distrofia di Duchenne oltre al danno c’è la beffa, visto che a finanziare le ricerche sono gli stessi pazienti.

*

I PAZIENTI FINANZIANO LE RICERCHE MA NON HANNO POTERE SUL PREZZO DELLE TERAPIE

Intervista a Francesca Ceradini (Osservatorio Malattie Rare e direttore scientifico di Parent Project onlus): grandi speranze dalla genetica, ma la strada è ancora lunga.

Quali terapie hanno a disposizione?

L’utilizzo del cortisone è al momento l’unica terapia universalmente utilizzata, ma è un trattamento palliativo che rallenta temporaneamente la degenerazione muscolare. L’unica vera terapia a disposizione in Italia è un farmaco chiamato Translarna, che agisce però solo su mutazioni che si trovano nel 10-13% della popolazione della popolazione Duchenne. In Italia, è a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale. Un’altra terapia innovativa si chiama Exondys 51, approvata solo negli Usa e anche in questo caso solo per mutazioni specifiche. Ci sono comunque tante molecole e strategie in via di sviluppo, con circa ottanta sperimentazioni cliniche nel mondo di cui una quindicina in Italia.


La tecnologia CRISPR suscita speranze ma si sa ancora poco sui rischi. Tra i pazienti prevale la speranza o la prudenza?

Pazienti e famiglie nutrono grandi aspettative per la terapia genica e l’editing genetico. Anche perché queste tecnologie potrebbero rappresentare una cura definitiva per la patologia. Le associazioni dei pazienti sono però molto attente a far capire alle famiglie che la strada è ancora lunga e il percorso non semplice.


I
farmaci di nuova generazione hanno prezzi elevatissimi. L’attivismo delle associazioni di pazienti è davvero in grado di allargare l’accesso alle terapie, per esempio abbassando i prezzi?

Le associazioni di pazienti non hanno, al momento, potere sul prezzo delle terapie. In Italia possono però dialogare con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), per capire come riuscire ad avere accesso alle terapie innovative. Ad esempio, vi è la possibilità di richiedere l’accesso precoce al farmaco: nel caso di patologie rare e che non dispongono di trattamenti terapeutici, l’AIFA può consentire l’accesso a farmaci sperimentali al di fuori degli studi clinici e prima dell’autorizzazione del farmaco sul mercato. Ad oggi il coinvolgimento dei pazienti è più che altro indirizzato ad una stretta collaborazione con ricercatori, clinici e aziende per cercare di accelerare il percorso di approvazione dei farmaci, ottimizzare i protocolli e i criteri di inclusione nelle sperimentazioni, riferire gli esiti attraverso i fondamentali “patient reported outcomes”.

E poi, ovviamente, finanziando la ricerca di base ma anche quella clinica, come nel caso odierno. Per le famiglie la priorità è riuscire ad avere una terapia che funzioni, il più velocemente possibile ma anche rispettando tempi e modalità della ricerca scientifica che come sappiamo tutela la sicurezza dei pazienti.

Certo poi si pone il problema del prezzo e di accessibilità alle terapie autorizzate, perché se una terapia esiste ma costa troppo vuol dire non averci accesso. Questo è un tema caldo e molto attuale sul fronte delle terapie avanzate in diversi campi e necessiterà, nel prossimo futuro, di una stretta collaborazione tra comunità scientifica, comunità dei pazienti e istituzioni.