Intorno a Gratteri sta esplodendo un dramma di livello nazionale. L’indagine su oltre 300 sospettati di criminalità mafiosa spacca l’opinione pubblica non solo in Calabria, ma in tutto il Paese, e propone, alla vigilia delle elezioni più conflittuali in quella regione, un dibattito come non mai acceso sul fallimento della governance locale, sulle responsabilità nazionali e istituzionali. Dopo alcune settimane dall’eclatante intervento della Procura di Catanzaro su tutto il territorio nazionale, si percepisce l’impressione che il promotore dell’inchiesta rischi un pericoloso isolamento, malgrado alcune migliaia di manifestanti a suo favore. Sono contro Gratteri i tanti affiliati alla ‘ndrangheta e i collusi con questi (politici, funzionari pubblici, non escludendo qualche magistrato, imprenditori); sono almeno infastidite da Gratteri schiere di “persone per bene “, professionisti, intellettuali, pensionati, certo non ‘ndranghetisti ma fautori dello stereotipo di una ‘ndrangheta principale erogatrice di lavoro alla gente. Per molti di costoro Gratteri è almeno eccessivo, narcisista, destabilizzatore del poco di società che sopravvive in Calabria.

Ma è molto grave che contro Gratteri si collochi, più o meno subdolamente, anche la classe dirigente nazionale, passata e presente, in quanto da secoli essa impedisce o non favorisce una politica di crescita, di progresso in Calabria, che sarebbe naturale antidoto alle mafie e decisivo sostegno alla legalità; una classe dirigente complice di 150 anni di storie di annichilimento della società calabrese attraverso lo svuotamento intellettuale apportato dall’emigrazione secolare, attraverso politiche nazionali di sviluppo economico disuguali e assistenzialistiche, attraverso forniture di servizi da terzo mondo. Alla mancata solidarietà postunitaria si è sostituito un repressivo razzismo nord – sud, causa di disprezzo e giudizi liquidatori su capacità, valori, culture.

Questa storica classe dirigente, che si prolunga fino ai partiti odierni, opera di fatto contro Gratteri, tende a inchiodarlo al suo isolamento, crea i presupposti della sua fine, perché induce la gente, per assicurarsi briciole di sopravvivenza, a scegliere ndrangheta contro Gratteri, perché rinvigorisce la ndrangheta contro l’eroe solitario. Sicché Gratteri, solo contro il potere mafioso, finisce perfino con l’essere percepito da molti, dopo 150 anni, come il Generale Cialdini nella guerra contro i briganti, personaggio ostile che uccide i ” salvatori “della povera gente.

Dunque Gratteri, senza il sostegno di uno Stato civile alle spalle, che dia lavoro e servizi, rischia di essere diffusamente sentito come “il poliziotto”, un Cialdini (mutatis mutandis) che risolve il problema della Calabria con i Carabinieri, lasciando intatti i drammi della gente.

Gratteri anche come Dalla Chiesa? Come Falcone? Forse peggio, perché la Sicilia non era ridotta ad una terra vuota di risorse, e poté in qualche misura reagire, mentre oggi la Calabria sconosciuta è una regione in gran parte spenta, incapace di autogovernarsi nei livelli locali, assurta oramai all’immagine forse senza ritorno di Sud del Sud.

Essere dalla parte di Gratteri è indispensabile, ma ciò non può significare solo applaudire un eroe, bensì molto di più pienamente riconoscere senza rinvii il cancro che divora la Calabria (Sud del Sud), e quindi pretendere dai propri partiti una politica socioeconomica di sviluppo da parte dello Stato: restituire a quella regione lavoro, servizi, cultura, rientro dei suoi giovani eccellenti formatisi fuori, con la consapevolezza che uno Stato inetto e passivo ha creato in 150 anni le condizioni micidiali per la perpetuazione dell’impoverimento di quei fattori. Un altro Stato? Ma questo Stato non c’è, c’è il solito Stato, e dunque non si può non aver paura per Gratteri nel buio dello Stato.