È logico e naturale che il boxset più torreggiante nella storia della musica sia dedicato ai Grateful Dead, la rock’n’roll band alla quale più si attaglia la definizione di «fluviale»: i loro concerti duravano ore, e chiunque poteva registrare a piacimento. Dopo lo scioglimento, sono uscite le registrazioni, spesso ottime, di decine di concerti, trasformando una discografia sino a quel momento esile in ciclopica. Ma 30 Trips Around The Sun , uscito a 50 anni esatti dalla nascita del gruppo, è più ambizioso e più sistematico di tutte le uscite precedenti: 80 cd per 30 concerti inediti, uno per ogni anno di esistenza della band, dalla formazione nel 1965 fino alla morte di Jerry Garcia, che ne era l’anima, il 9 agosto 1995. C’è anche una versione smilza e più abbordabile: una sola canzone per ciascuno concert, in totale «appena» 4 cd.

Il cofanetto-monstre, ma anche la versione light, sono ideali per restituire ai Dead anche in Italia il posto che meritano e che negli Usa non è mai stato messo in discussione. La cronaca della loro evoluzione musicale vale anche a staccargli di dosso l’etichetta che li confina nel perimetro, brillante ma angusto, della psichedelia west coast dei ’60. Non che quella identificazione tra i Dead e la controcultura hippie sia fuori luogo o esagerata. Erano come band dei Pranksters, la comunità ambulante di Ken Kesey, scrittore e santone del’Lsd ma in versione americana e allegra, opposta alla ponderosità di Timothy Leary.

Erano saliti per la prima volta sul palco come Grateful Dead giusto nel corso di uno degli acid test organizzati da Kesey, con distribuzione gratuita di aranciate, molte (ma non tutte) allungate con lo strepitoso acido prodotto da Owsley Stanley, più tardi tecnico dl suono del gruppo, e di lì erano volati ad Haight-Ashbury, San Francisco, il cuore della Summer Love. Erano hippies, ma vicini anche agli Hell’s Angels, che fornivano il servizio d’ordine per i loro concerti, e mai tanto ingenui da identificare la loro musica con un manifesto politico, come capitava a tante bands dell’epoca. Però i Dead sono stati molto più di una band psichedelica.

Avevano iniziato come un classico gruppo di rock blues, con frontman Ron «Pigpen» McKernan, figlio dell’unico dj bianco di una radio nera , ucciso dall’alcol nel 1973 quando la guida musicale del gruppo era ormai passato da tempo nelle mani di Jerry Garcia, che invece arrivava dritto dal circuito bluegrass. Al tramonto della west coast avevano battuto le vie del country-rock, mostrando poi un interesse sempre più marcato per l’improvvisazione jazz e per l’intera tradizione folk americana. Suonavano di tutto, ma riciclando ogni corrente della musica popolare americana in un sound unico nel quale affluivano tutte le correnti musicali a stelle strisce, e non solo quelle contemporanee.

Dopo la morte di Garcia, stroncato da un infarto nella clinica dove tentava l’ennesima riabilitazione dall’eroina, la band decise di sciogliersi e non poteva essere altrimenti. Ma i Dead non sono mai stati solo la backing band di Garcia, che ne era il cuore e il leader ma solo in senso spirituale. La loro musica è piuttosto l’incontro, e nei momenti migliori la perfetta fusione, tra personalità tutte molto forti e ispirazioni musicali diverse: la musica d’avanguardia e il free jazz di Phil Lesh, uno dei bassisti più innovativi e sperimentali che ci siano mai stati, l’impetuosità rock’n’roll di Bob Weir, che negli ultimi anni si occupava della voce solista anche più spesso di Garcia, la curiosità etnica dei due batteristi, Bill Kreutzmann e Mickey Hart, l’eredità di ciascuno dei tre tastieristi susseguitisi e scomparsi uno dopo l’altro come per maledizione: Pigpen, Keith Godcheaux Brent Mydland.

I Dead superstiti sono tornati a suonare insieme, sempre per il cinquantenario della band, nel giugno scorso, in una serie di concerti a Santa Clara e Chicago dalla quale è stato tratto un box set di 12 cd e 7 dvd, con versione economica riassunta in due soli cd. Sommati al al cofanetto antologico principale illustrano e giustificano lo slogan che per tre decenni ha accompagnato la band californiana: «There’s Nothing Like a Grateful Dead Concert».