«Si è insistito sul Pietro Ingrao eretico. Io sono solito fare una distinzione tra l’eretico e l’eterodosso, o il non ortodosso. L’eretico è quello che rompe ed esce dal proprio campo, dalla Chiesa; il non ortodosso è quello che combatte, con la critica, l’ortodossia, rimanendo nel proprio campo, nella Chiesa. Ingrao è questo secondo tipo di uomo, in cui anche io mi riconosco». C’è dell’autobiografico, forse anche dell’amaro, nel discorso pronunciato ieri al senato da Mario Tronti, padre dell’operaismo italiano e presidente del Centro riforma dello Stato – di cui Ingrao fu secondo presidente dopo Umberto Terracini – tornato nel 2013 in parlamento negli scranni del Pd. La sua conclusione non è meno amara: «Dice uno dei versi di Ingrao: ’Leva in alto la sconfitta’, da leggere così: dai un pensiero alto alla sconfitta e non farti abbassare da essa, ritenta, con la lotta, altri possibili passaggi, cammina sui vecchi sentieri senza lasciarti sfuggire nulla di ciò che è nuovo. Questo è il messaggio che Pietro ci lascia e spero – lasciatemi dire però che un po’ anche dispero – che venga raccolto».

Una commemorazione commossa, quella di Palazzo Madama, alla presenza della famiglia del dirigente comunista, a cui i senatori amici ma anche avversari hanno partecipato senza cedere alla liturgia. Aperta dalle parole del presidente Pietro Grasso che ha voluto ricordare l’Ingrao convinto che «un parlamento per essere forte ha bisogno di un governo forte, e non di una confusione di ruoli. Le patologie da correggere, come anche le riforme da fare nella struttura stessa del parlamento, non possono però cancellare questa differenza di ruoli che non può essere sacrificata, diceva Ingrao, in nome di una astratta governabilità». Impossibile per chi ascolta non cogliere un riferimento al presente. Grasso sceglie infatti il ricordo di un Ingrao contemporaneissimo, utile da riascoltare in questo preciso momento della storia della Repubblica. L’«uomo delle istituzioni» oltreché o, più precisamente, o perché grande dirigente comunista, lascia infatti «non solo un modello di rigore ma anche una lezione ancora attuale e per certi preveggente, con cui dobbiamo e dovremo ancora confrontarci». Così come Peppe De Cristofaro (Sel) senatore giovane ma segnato nella vicenda politica – nel passaggio dal Pci alla Rifondazione degli anni 90 – dall’Ingrao pacifista e dai temi «che gli stavano più a cuore: la democrazia, il rapporto tra governanti e governati, quello tra le masse e il potere, la necessità storica di immettere elementi dinamici in quelle istituzioni nate dalla Resistenza antifascista». Anche gli avversari politici riconoscono il ruolo di «difensore della democrazia parlamentare» (il verdiniano D’Anna), di «grande punto di riferimento della storia d’Italia» (lo storico Compagna, Ncd), di «uomo del popolo, comunista perché popolano» (il leghista Consiglio).

In quegli stessi momenti nella camera ardente allestita nella sala Aldo Moro di Montecitorio è arrivato il presidente della Repubblica Mattarella, la presidente della camera Laura Boldrini e ancora tanti amici, compagni e avversari (Gianfranco Fini, ex presidente della camera). Se ieri sulla bara era stata deposta la sciarpa di don Gallo, oggi una delegazione di operai dell’acciaieria di Terni ha portato un caschetto in ricordo di quando Ingrao deputato dell’Umbria, nel febbraio del ’78 da presidente della camera tenne un discorso in un capannone del siderurgico definendo i lavoratori «presidio della democrazia» e esortando gli uomini e le donne delle istituzioni «a non restare isolati».

Oggi, dalle 11, funerali di stato in una piazza Montecitorio che resterà aperta ai cittadini. Parleranno fra gli altri i familiari, i compagni di una vita – Alfredo Reichlin e Maria Luisa Boccia – e don Luigi Ciotti.