Fin dalle proprie origini, il rock diventa oggetto di studio, di remix, di citazione da parte degli altri linguaggi espressivi, che lo riscrivono sulla base delle sensibilità dei singoli universi artistico-comunicativi. C’è in primis, in ordine di tempo, il cinema, con il rock movie a celebrare su grande schermo i pregi e i difetti degli idoli giovanili, c’è quindi una pittura (di solito ispirata al genere pop art) a relazionarsi al sound generazionale, c’è anche una poesia rock, sulla falsariga dei beatnik, che tenta di assimilare forme e contenuti del ribellismo sonoro, c’è una narrativa ispirata alle vite di rockstar immaginarie, c’è soprattutto la fotografia che coglie l’attimo fuggente dei rituali concertistici e c’è di recente la graphic novel, ultima singolare arrivata nel novero di un’estetica mediale postmoderna.

La graphic novel, per molti versi, è l’evoluzione intellettuale delle storie a fumetti, con il privilegio di insistere spesso su istanze lirico-romanzesche, su codici grafo-pittorici, su sceneggiature quasi cinetelevisive. Le biografie risultano i soggetti preferiti della graphic novel, soprattutto italiana e francese, che guarda sovente al mondo del rock (e delle rockstar in particolare) quale fonte ispirativa: ma le esistenze spesso torbide, controverse, sfortunate di musicisti più o meno famosi risultano declinate con bella varietà di stili, atteggiamenti, ideologie, persino di risvolti etico-morali. Ecco quindi un campionario tra le recenti uscite editoriali di vite rock divenute graphic novel.

Bruce Springsteen

Più simile al «libro d’artista» dell’avanguardia pittorica che alla graphic novel stricto sensu, l’opera concettuale 41 colpi di Marco Peroni e Riccardo Cecchetti non racconta vita e miracoli di Bruce Springsteen, bensì ne coglie l’intima poetica giostrando attorno a un fatto di cronaca, che viene commentato dall’immaginario poliziotto Joe Roberts in trepidazione per l’anteprima della tournée della rockstar al Madison Square Garden. È il 12 giugno 2000 e il questore, con una lettera, chiede esplicitamente al Boss di escludere dal recital la canzone American Skin in cui s’accenna all’uccisione di Amadou Dialio, giovane studente crivellato dai 41 colpi delle pistole di quattro agenti, che, insospettiti, scambiano il portadocumenti del ragazzo per un revolver. È proprio la strofa reiterata «41 colpi, 41 colpi», che accusa la brutalità delle forze dell’ordine, a mettere in crisi l’ex operaio passato a indossare una divisa in attesa del concerto del suo beniamino. Parlano soprattutto le immagini tra action painting e foto sovrimpresse, tra grattacieli anonimi e volti pensierosi.

David Bowie

L’io narrante o punto di vista è quello di una casa, la Haddon Hall ottocentesca, nella periferia londinese, dove, per due anni, un giovane hippie studia la via della celebrità, organizzando una sorta di comune artistica, con la moglie attrice, il fratello depresso, il produttore Tony Visconti, il chitarrista Mick Ronson, gli altri membri della band e persino un abulico Syd Barrett prelevato dal manicomio. L’emergente Ziggy Stardust in Haddon Hall. Quando David inventò Bowie del francese Néjib è amleticamente descritto come un musicista indeciso tra purismo e commercializzazione: il travaglio interiore lo conduce a creare suoni che vanno oltre l’iniziale cantautorato per approdare al glam rock; ed è una cosa nuova, dandy e vintage, futurista e science fiction, kitsch e avantgarde, nella consapevolezza di rivoluzionare il rock, fino a porsi quale icona di maggior fascino pop dopo i Beatles. Néjib fa tutto da solo aggiungendo il colore ai disegni in bianco e nero: e Bowie & Co. appaiono tra campiture psichedeliche in umana sintonia con l’allora Swingin’ London, ormai centrale per i trend giovanili.

Fabrizio De André

Sergio Algozzino decide con Ballata per Fabrizio De André di presentare il foksinger genovese non attraverso la solita biografia a fumetti, bensì mettendo in scena cinque personaggi (Andrea, Bocca di Rosa, Princesa, il suonatore Jones, Tito) più altri tredici tra comparse e comprimari: sono questi i dolenti protagonisti nelle sofferte ballate del repertorio di Faber a fornire segnali, indizi, suggestioni, fantasie, sul genio romantico, libertario, umanista, anarcoide in un autore leopardianamente indomito. Algozzino inventa quindi una trama composta da tante «fiabe» quante le figure interpretate con finissimo garbo a inchiostro di china, intrecciando fitti richiami grafici alla magia evocativa delle canzoni medesime.

Luigi Tenco

Con il design dei giornalini a fumetti da anni Settanta, Luca Vanzella e Luca Genovese in Luigi Tenco una voce fuori campo ricostruiscono la sfortunata vicenda esistenziale del cantautore ligure-alessandrino: la trama di per sé avvincente s’arricchisce di colpi di scena, con numerosi flashback, partendo dagli ultimi giorni di vita, quando Luigi è assieme a Dalida (cantante italofrancese, anch’ella suicida, vent’anni dopo, per non aver superato il trauma) durante il Festival di Sanremo 1967. La ricostruzione dell’ipotesi della morte è perfetta, essendo anche quella che prospetta maggiori soluzioni, a dir poco assurde, ciniche, tremende, come l’esclusione dalla finale del brano Ciao amore ciao a causa di un celebre giurato (di cui si fa nome e cognome) compromesso con la Rai e le case discografiche. Il Tenco della story è alla fine assai credibile anche quando diventa oggetto di aspre contestazioni sul ruolo del cantautore nella società capitalistica.

Vasco Rossi

Il Komandante, mai come in questo caso, può dirsi leader alla testa di pochi coraggiosi che sfidano uno spietato potere in una società prossima ventura: benché accreditata a Vasco Rossi in copertina, la graphic novel Ho fatto un sogno del Blasco ha solo il titolo e il testo dell’omonima canzone, perché visualizzata da un pool di cartoonist e sceneggiatori; con riferimenti a Metropolis, Farenheit 451, il Grande Fratello orwelliano, la vicenda è ambienta in una città dove il sorriso è obbligatorio, la tv onnipresente, la milizia a bruciare libri e dischi vietatissimi (metafora palese della pseudocultura berlusconiana), un Kom in disarmo si risveglia e si decide a impugnare le armi del concerto dal vivo per rispondere con la forza della canzone a un sistema che giudica gli artisti come delinquenti. Chine nere e quadrati giallo limone, un po’ manga giapponese.

Beatles

Ecco il tentativo quasi enciclopedico di presentare la storia ufficiale di una rock band mediante immagini disegnate e didascalie sintetiche. Il piccolo libro dei Beatles di Hervé Bourhis a buon diritto va ritenuto una graphic novel, pur condividendo i codici narrativi del volume illustrato, dove le classiche foto vengono sostituite da vignette in bianco e nero dal tratto grafico incisivo, forse a volte caricaturista, anche se ispirato, nei singoli quadri, all’immaginario beatlesiano preesistente, dalle copertine dei 45 giri agli scatti dei reporter. I Beatles quindi sono svelati di anno in anno dal 1940 (quando nasce John Lennon) al 2010, appena dopo che McCartney ai Grammy Award si presenta dicendo «I’m Paul from a rock band», e dopo che Ringo pubblichi finalmente un nuovo album (dal titolo I’m Not). In mezzo, tante buffe notizie e, ritratte a colori, le cover dei tredici imperdibili album ufficiali.

Stuart Sutcliffe

Come una favola moderna, grazie a una deliziosa matita nera, dai tratti quasi espressionisti, Baby’s in Black racconta la romanticissima vicenda amorosa tra Astrid Kirchherr e Stuart Sutcliffe: la prima è una giovane esistenzialista con la passione per la fotografia e la musica, il secondo un pittore astratto, ma soprattutto il bassista dei Silver Beatles nell’Amburgo 1960-1961, dove cinque ragazzotti di Liverpool suonano il rock and roll per otto ore al giorno in locali malfamati. Alla Kirchherr si deve il taglio di capelli (niente ciuffo e frangia sugli occhi) e il nuovo look (abito scuro, cravattina, stivaletti) che farà la fortuna dei quattro «scarafaggi», quattro perché Stu abbandona il gruppo per seguire un duplice amore (la bionda ragazza e l’action painting). Ma il sogno dura poco e il quinto Beatle muore a soli ventun anni per un tumore alla testa. Capolavoro di graphic novel per i raggiunti equilibri fra intreccio e figurazione.

John Lennon

John Lennon si materializza letteralmente davanti a Charles Berberian, autore del libro Juke Box, in una delle tante brevi graphic novel dedicate a controverse rockstar: il cartoonist parigino diventa celebre per inscenare tra le vignette un proprio alter ego, critico musicale, che vive con nostalgia, un po’ drammatica, un po’ ironizzante, i primi anni Settanta, quando il rock, per lui, è il migliore di tutti (e di tutto); Lennon è incontrato per caso nel 1971 vicino a un bouquiniste lungo la Senna: sulle prime l’ex Beatle è infastidito ma tra i due scocca un’improvvisa amicizia spesa tra confidenze su passato e futuro e camminate nella città notturna deserta, come nel film Midnight in Paris di Woody Allen. Lennon come gli altri personaggi di Juke Box (Phil Collins, Leonard Cohen, Elton John, Michael Jackson, Oum Kalsoum) si distingue per un tratto caricaturale che risente del vignettismo sia francese sia nordamericano, con l’aggiunta di molti ingredienti autoriali.

Kurt Cobain

La biografia del leader dei Nirvana è «allestita» da Danilo Deninotti e Tony Bruno in Kurt Cobain quando ero un alieno partendo dall’infanzia e giungendo all’attimo prima del definitivo successo. Il giovanissimo Kurt sensibile e refrattario alla quotidianità familiare tra genitori litigiosi e imposizioni scolastiche, finisce per rifugiarsi in un mondo «alieno» che visivamente è popolato da extraterrestri in stile S.F. anni Cinquanta (i b-movie con i mostri dai corpi minuti e dagli enormi occhi a mandorla). Questi «bruti» personaggi non sono altro che le proiezioni dell’inconscio dell’insoddisfatto Kobain che sognerebbe un mondo diverso e che trova nel rock (visto appunto come «altro» rispetto alla società borghese) la valvola di sfogo per sfuggire alla routine americana e agli incubi premonitori.

Enrico Rava

In Francia la graphic novel non solo sul rock ma anche sul jazz è un filone svilupatissimo con apposite fortunate collane, ad esempio BD Jazz (Edtions Nocturne), tradotta anche in Italia, con le vite dei «grandi»: Parker, Armstrong, Ellington, Sinatra, eccetera. In Italia invece fa eccezione il «fumetto» di un celebre vignettista politico che accompagna il disco di un altrettanto famoso trombettista: Enrico Rava, facilmente disegnabile, per via del naso adunco, dei baffi spioventi, dei lunghi capelli grigi, è protagonista di una spy-story che si riconnette al genere poliziesco o giallo che in Francia si chiama polar o noir e appunto Noir (Label Bleu) è anche il titolo del cd dalle atmosfere cupe e misteriose, scoppiettanti, in perfetto equilibrio tra musica improvvisata e, graficamente, invenzioni sul tema.

Rino Gaetano

Lo sfortunato folk singer crotonese, che muore in un incidente automobilistico a soli trentun anni nel 1981, è il protagonista sui generis in Sereno su gran parte del paese di Andrea Scoppetta: sui generis perché il cartoonist napoletano attua una sintesi di molte canzoni (Spendi spandi Effendi su tutte) ha per attori un cagnolino e un caimano, Gesù Cristo e il travet Osvaldo, sirene e veline, con un duro richiamo alla nostra attualità, quasi a sottolineare la prefigurazione di un’italianissima tronfia «società dello spettacolo» nei testi delle canzoni con vent’anni di anticipo sui tempi. Tra richiami a Pinocchio e ad A.I. di Spielberg, da un lato il cagnolino buffo, fiacco, incorruttibile resta un simpatico archetipo dei cartoon angloamericani, dall’altro il caimano risulta ostentatamente il «ritratto» di Berlusconi.

Bob Marley

Come in altre graphic novel di autori italiani così anche Bob Marley Coming in from the Cold di Saverio Montella, l’omaggio al gran «maestro» giamaicano avviene per via traslata o evocativa: qui la figura principale è un rotondetto sassofonista africano che vive a Napoli con una ragazza punk magrissima (o meglio una «guagliona» senza peli sulla lingua) alla quale racconta, come in un sogno, di una vicenda simbolica in cui gli appare il re del reggae. Ne fuoriesce un trip variopinto di suggestioni marleyane, dove il tributo fumettistico viaggia per libere associazioni, abbracciando di volta in volta la notte, l’Africa, le leggende nere, i gruppi di reggae music, gli incontri di una sera che segnano per la vita, e ancora fumo, bottiglie, ovviamente la città tra vicoli e vicoletti. Le tavole disegnate con tratto francese, di proposito infantile, brillano di colori sfavillanti, intercalate dal Marley-pensiero: «Fino a quando il colore della pelle sarà più importante del colore degli occhi, ci sarà sempre la guerra», oppure «Sappi che quando tu punti il dito contro qualcuno, qualcun altro starà giudicando te».