Una bugia cambia la vita. Muta lo scorrere delle cose e lo modifica in modo impercettibile o eclatante. La dimensione del cambiamento dipende da chi sia a dirla, ad ascoltarla, ad esserne testimone o complice. A volte ne vale la pena, altre no ma chi le dice è comunque un bugiardo o una Bugiarda, come recita il titolo dell’ultimo libro di Ayelet Gundar-Goshen, uscito per la casa editrice Giuntina, con la traduzione di Raffaella Scardi (pp. 260, euro 17). Dopo Svegliare i leoni e Un notte soltanto, Markovitch – entrambi pubblicati in Italia da Giuntina – la trentasettenne scrittrice israeliana torna a raccontare con precisione e senza moralismo come la menzogna abiti l’essere umano senza differenza di ceto, cultura o età. Autrice di sceneggiature di successo, sia di critica che di pubblico, Gundar-Goshen ha vinto premi e i suoi libri viaggiano per il mondo in quattordici lingue.

NUFAR, LA PROTAGONISTA diciassettenne di Bugiarda, è alle prese con un lavoro estivo in gelateria e aspetta spasmodicamente – come solo la ferocia dell’adolescenza sa fare – che la sua ultima estate da liceale le cambi la vita. Un mutamento atteso inutilmente mentre la ripresa della scuola si avvicina inesorabile. Nufar ha su di sé il peso di un nome, in ebraico ’ninfea’, che grava dalla nascita come un destino tradito: «i genitori non resistono – scrive Gundar-Goshen – corrono avanti in un galoppo di aspettative e, a volte, le aspettative arrivano così lontano che il bambino rimane perpetuamente indietro, a trascinarsi appresso alle speranze dei genitori. Nufar Shalev non era brutta, tutt’altro, ma l’ostetrica aveva detto ’bellissima’ e questa profezia la perseguitava da sempre». Un peso reso paralizzante dall’arrivo di Maya, la sorella di poco più giovane, la cui bellezza si dispiega insieme alle amicizie precluse a Nufar.

Il libro di Goshen non parla di adolescenza, non solo almeno, descrive invece con limpidezza chirurgica cosa accade a una vita quando è abitata da una bugia: non solo quella di Nufar e Maya ma anche di Lavì Maimon, coetaneo e testimone silenzioso che dal quarto piano assiste alla menzogna. Cambia anche l’esistenza di un mendicante sordomuto che ritrova la voce per borbottare una verità a cui nessuno crede. E quella di Avishai Milner: bugiardo per fame di fama, la cui arroganza frustrata non lo mette a riparo da moti di involontaria empatia.

È un secondo quello in cui per Nufar la goccia dell’affronto fa traboccare il vaso di un’estate di aspettative deluse. Un frammento di tempo infinitesimale anche per Avishai Milner, cantante e showman dalla fama oramai appannata: quando Nufar non è pronta ad offrire alle sue frustrazioni il conforto di una pallina di gelato, ma soprattutto quando non lo riconosce, ad Avishai esplode la rabbia «e chiamò a raccolta tutto il suo talento per trovare le parole più adatte per ferire: ’Occhi di triglia. Stupida vacca. Dovresti toglierti i peli dalle sopracciglia prima di mostrarti in pubblico’». Nufar scappa nel cortile posteriore, lui la insegue convinto che non le abbia dato il resto.

«CI SONO CAMBIAMENTI – scrive Gundar-Goshen – che avvengono lentamente. La corrosione geologica, ad esempio, si protrae per decine di migliaia di anni. Acqua e vento fanno il loro lavoro goccia dopo goccia , un crinale si trasforma in valle , un mare diventa deserto, tutto lentamente, con calma (…). E ci sono cambiamenti che esplodono di colpo, un fiammifero che si accende, prima era buio e poi fu luce. Il cambiamento che avvenne nella venditrice di gelati era, a quanto pare del secondo tipo. Per diciassette anni e due mesi trascorsi in questo mondo non si era mai sognata di picchiare un pugno sul bancone e men che meno di gridare in cortili solitari. Ma la presenza di quell’uomo che le aveva scaraventato addosso cattiverie atroci la scosse fin nel profondo dell’anima. Era scappata in cortile smaniosa di sparire dalla faccia della terra, ma non appena l’uomo le strinse il braccio in lei si destò il bisogno contrario, il bisogno di farsi sentire. Urlò l’offesa delle parole con cui sferzava se stessa. Urlò la delusione di quell’estate e di tutte le estati precedenti. Urlò e urlò, urlò tanto che non sentì le sirene spiegate della polizia che accorreva, e i pompieri al seguito, perché così funziona, un coccodrillo leva il suo grido e cento altri gli fanno eco dal buio. Nufar Shalev chiamava e la città rispondeva».

A POCO VALGONO le proteste di Avishai Milner che strilla di non averle fatto niente, come effettivamente è, se l’insulto e la cattiveria non sono niente. La città che si mobilita per Nufar pensa che sia stata molestata. La bugia come una valanga la trascina in trasmissioni televisive, il presidente del paese la premia, la famiglia la accudisce. E il giovane testimone del quarto piano la ricatta: lui sa e la reclama per quel che resta dell’estate proprio in quel cortile dove aspettava il momento del proprio suicidio per assurgere all’onore delle cronache ed essere finalmente «visto» da un padre delle forze speciali che ambiva a un figlio muscoloso e coraggioso, che lui non è.

Sotto i riflettori Nufar diventa bella davvero: il timore di vedere scoperta la propria bugia la rende luminosa. L’attenzione di cui l’intero paese la circonda – lei che si è ribellata – la fa fiorire. Con lei sboccia Lavì, il giovane ricattatore. L’anno che seguirà quell’estate sarà diverso. Perché le bugie, che abbiano le gambe lunghe o corte, cambiano la vita ma quel che separa una menzogna dalla verità è solo un battito di ciglia.