Il decreto governativo sulle «grandi navi» a Venezia del 13 luglio rappresenta un passo avanti ma non è ancora chiaro in quale direzione. Ci si smuove da una situazione bloccata al 2012, al decreto Clini – Passera che stabiliva il divieto di transito per il Canale e il Bacino di San Marco e il Canale della Giudecca (ora dichiarati «monumento nazionale») per le navi di stazza superiore a 40 mila tonnellate, salvo rinviarne gli effetti a dopo l’individuazione di vie e approdi alternativi. In questi nove anni i sostenitori della permanenza delle grandi navi in laguna (compagnie e imprese del settore, la giunta comunale di Brugnaro e quella regionale di Zaia), grazie anche all’indolenza o alla convergenza dei vari governi, hanno inseguito progetti come lo scavo del Canale Contorta o del Canale Vittorio Emanuele, per mantenere l’home port alla storica Marittima, sia pure non più giungendovi via San Marco – Giudecca.

Oggi devono cambiare obiettivo. Di fronte alla crescita della mobilitazione, dovuta al Comitato No Grandi Navi, agli ambientalisti, all’opinione pubblica internazionale, e di fronte all’ipotesi che, permanendo l’attuale stallo, l’Unesco inserisse Venezia nella black list mondiale dei siti a rischio (non solo per le navi, in realtà), il governo (il Conte 2 prima e ora Draghi) ha accelerato.

Dal primo agosto (con indennizzi a compagnie e lavoratori) le navi di oltre 25 mila tonn. di stazza e con altre caratteristiche di alto impatto dovranno andare altrove fino a quando (almeno un anno) non saranno pronti approdi provvisori a Marghera, raggiungibili dalla bocca di porto di Malamocco e utilizzabili fino alla realizzazione di un porto off-shore in Adriatico per le navi da crociera e per quelle mercantili maggiori. Questa, nel decreto Franceschini – Giovannini, la scelta strategica, il passo avanti. Per capirne la vera direzione, però, occorrerà verificare attentamente l’andamento della vicenda.

Per le banchine provvisorie a Marghera si investono oltre 150 milioni di euro. I tempi per l’off-shore potrebbero essere lunghissimi (10-15 anni). Un eventuale futuro allineamento del quadro politico nazionale con quello veneziano e veneto attuali favorirebbe senz’altro la trasformazione della soluzione provvisoria in definitiva, portando a commistione traffico turistico, mercantile e industriale, stabilizzando la stazione passeggeri in mezzo a impianti pericolosi, estendendo la monocultura turistica che stravolge Venezia anche all’area industriale e logistica che finora ne rappresenta l’antidoto maggiore.

Soprattutto, per molti anni e forse per sempre, le grandi navi resterebbero in laguna, con il devastante impatto idrogeologico che causano (e che potrebbe prodursi, in forma aggravata rispetto a oggi, anche con la soluzione provvisoria, dato che l’art. 2, comma 1.b e c del decreto, non prevede solo «manutenzioni dei canali esistenti» ma pure «interventi accessori per il miglioramento dell’accessibilità nautica» potenzialmente forieri di pesanti manomissioni e scavi: per questo sarebbe meglio collocare magari alla bocca di Lido approdi provvisori leggeri e reversibili, senza impatto sul già provato ecosistema lagunare, come da vari progetti già presentati).

La lobby economica e politica pro Grandi Navi non fa mistero di voler restare a Marghera, cioè in laguna. Per questo la mobilitazione continua, a Venezia e ovunque se ne abbia davvero a cuore il destino.