C’è qualcosa di vagamente surreale nell’ostinazione di Thierry Frémaux – e più in generale dell’intera macchina decisionale che lo sostiene – a non voler ammettere che l’edizione 2020 del Festival di Cannes non ci sarà. O meglio, a non dirlo esplicitamente come hanno fatto le altre sezioni – Quinzaine, Acid, Semaine de la critique – rassegnandosi a qualcosa che non gli si può imputare visto che la pandemia ha annullato eventi assai più importanti su scala mondiale, uno per tutti le Olimpiadi in Giappone posticipate all’anno prossimo. Lui no, non ce la fa e così glissa, allude, ci gira intorno parlando di eventi «congiunti» con festival compreso quello di Venezia – anche se poi come abbiamo capito nulla di concreto è stato mai stabilito.

LO STESSO è riuscito a fare in un’intervista rilasciata a «Screen» alla vigilia dell’apertura di Cannes prevista originariamente per oggi – e fino al 23 maggio. Frémaux parla dei suoi sentimenti, «nostalgia e malinconia», e del fatto che fermarsi può essere «un’occasione per riflettere sul futuro». E poi: «Sarà difficile ipotizzare per quest’anno un’edizione ’fisica’ del festival». Insomma nonostante la duplice cancellazione – in un primo tempo si era parlato di posticiparlo a luglio ma il divieto di grandi eventi è stato esteso in Francia fino alla metà di quel mese – la frase netta: «Cannes 2020 non ci sarà» proprio non riesce a pronunciarla. Tabù da contatto come direbbe la psicanalisi, rimpianto comprensibile visto il lavoro o presunzione?

In compenso però annuncia che sarebbe tornata Netflix sulla Croisette con 5 Bloods (fuori concorso), il nuovo film di Spike Lee – su Netflix dal 12 luglio – questa edizione presidente della giuria.
Cannes ha rifiutato da subito l’ipotesi di un’ edizione online – probabilmente complicata anche dai diritti e dagli accordi con le distribuzioni – poi messa in atto per il mercato, e Frémaux lo ripete ancora oggi che non avrebbe avuto senso vista la sua natura.

AL DI LA’ dell’evento sulla Croisette, e delle questioni personali, la cancellazione di una grande manifestazione cinematografica come Cannes rappresenta l’ennesimo colpo economico all’intero settore cinematografico che si trova schiacciato da sale chiuse, distribuzioni ferme, piattaforme che nascono in continuo, professioni – compresa la nostra – da ripensare.
Tutto questo però sembra interessarlo poco, ciò che conta è mantenere una supremazia: dunque in giugno annunceranno la loro selezione, i film che avevano «visto e amato» per promuoverli nel mondo. La «Cannes label» – il marchio Cannes come assicurazione per il loro lancio – dove se sulla riapertura delle sale si sa nulla? – pensando pure a una sorta di «Cannes fuori le mura» ospitata in quei festival che riusciranno a avere luogo. E se qualche titolo viene ritirato? Nessuno lo ha fatto – assicura Frémaux – tranne un distributore che ha sottoposto il suo film a Venezia: «Noi però non lo avevamo selezionato».

Che dire? La gara francamente è poco interessante e non esprime quell’amore per il cinema che Frémaux ci dice vuole sostenere e che non morirà mai. Lo dimostrerebbe molto di più tenere conto dell’incertezza del presente (e del futuro) per tanti, visto che poi a chi ne critica la mancanza di chiarezza di questi mesi risponde proprio che è legata a una «situazione indefinita». Molto meno lo sono i meccanismi che rapidamente si vanno affermando e la mancanza di tutele che li accelerano, e sarebbe bello parlare di questo, specie da parte di istituzioni influenti come il festival di Cannes invece che della propria grandeur, talmente poco interessante oggi da suonare fuori tempo.