Secondo la “provocazione” di Marco Dinoi nel suo libro Lo sguardo e l’evento, la scossa tellurica causata dall’11 settembre è tale da cambiare in un certo senso il paradigma stesso della fruizione cinematografica: «Tra il sembra vero con cui gli avventori del Grand Café accoglievano nel 1895 le prime proiezioni cinematografiche dei fratelli Lumiére, e il sembra un film, con cui lo spettatore televisivo dell’attentato alle Twin Towers ha reagito a quelle immagini, c’è forse un salto cognitivo che manifesta un aspetto della nostra epoca con cui già da tempo ci troviamo a fare i conti». Insieme alla Storia, inevitabilmente, quel giorno si scriveva anche la storia del cinema – perlomeno di quello hollywoodiano e della sua «epica cronachistica» (Marco Arnaudo) così come della narrativa – altrettanto di massa – veicolata dal piccolo schermo.

Nei vent’anni trascorsi dall’11 settembre sono ormai dozzine i film, e le serie – per il ventennale anche la miniserie documentaria di Netflix Turning Point: L’11 settembre e la guerra al terrorismo – che interrogano e portano sullo schermo quella giornata e quegli eventi scolpiti nell’immaginario collettivo mondiale. Dagli instant movie usciti all’indomani degli attentati come il film collettivo 11 settembre 2001 (2002) – a cui partecipano fra gli altri Amos Gitai, Shoei Imamura, Ken Loach e Sean Penn – , o Fahrenheit 9/11 (2004) di Michael Moore, a quelli che mettono in scena ed eleggono a protagonista la New York del day after e di Ground Zero, come nel capolavoro di Spike Lee La 25esima ora (2002), dove la città ferita e dolente rispecchia e dialoga con la tragedia del protagonista interpretato da Edward Norton.

Per una coincidenza dettata dallo zeitgeist, a soli due mesi dall’attentato – nel novembre 2001 – debutta sui piccoli schermi americani 24, la serie creata da Joel Surnow e Robert Cochran di cui ogni stagione copre 24 ore nella vita dell’agente dell’unità anti-terrorismo Jack Bauer (Kiefer Sutherland) dove il ticchettio di un orologio scandisce il tempo che ci separa da un pericoloso attentato che il protagonista dovrà sventare – perenne messa in scena di una “rettifica” immaginaria di ciò che l’intelligence americana non era riuscita a fare l’11 settembre.

Dieci anni dopo, un’altra serie tv di grande successo, Homeland (creata da Howard Gordon e Alex Gansa), scaverà nell’inquietudine della minaccia interna, del terrorista che si nasconde “fra noi”, nel sospetto perenne – l’ombra del dubbio che avvolge il coprotagonista Nicholas Brody (Damian Lewis), ex marine Usa prigioniero per 8 anni di Al Qaeda.

Più di tutto però l’attentato, con il suo portato di angoscia anche politica – con la war on terror inaugurata dal presidente Bush – incide sul mood del cinema americano, che ne registra l’inquietudine, i confini confusi fra “bene e male”, l’impennata autoritaria di cui è protagonista la nazione che George Lucas cerca magniloquentemente di racchiudere nel passaggio dalla repubblica all’impero nel suo prequel di Guerre stellari. E nel Cavaliere oscuro (2008) di Christopher Nolan, è lo stesso Batman a mettere sotto controllo tutti i cittadini di Gotham per poter sconfiggere la sua arcinemesi Joker, con motivazioni che ricalcano quelle del Patriot Act di Bush. E certo la proliferazione di supereroi non è indifferente nel millennio inaugurato simbolicamente dall’impossibilità dello Spider-Man di Sam Raimi (il primo capitolo della trilogia è uscito nel 2002) di librarsi fra le torri gemelle, rimosse dal cartellone pubblicitario del film all’indomani dell’attentato, mentre alla sua controparte fumettistica, nel primo albo dell’Uomo ragno uscito dopo l’11 settembre, i newyorkesi chiedono: «Dove eravate voi?».

Il 9/11 nel corso degli anni è protagonista di altri film, come World Trade Center (2006) di Oliver Stone, che lo racconta dal punto di vista dei poliziotti accorsi, e morti, per trarre in salvo le persone dalle torri, o Molto forte, incredibilmente vicino (2011) di Stephen Daldry: protagonista un bambino che quella mattina perde il padre.
Ma molti di più sono i film che affrontano le conseguenze di quel giorno: i deserti dell’Afghanistan e dell’Iraq sono diventati quasi «familiari» per lo spettatore cinematografico degli ultimi vent’anni quanto lo era stata in precedenza la giungla vietnamita. Fra i tanti Redacted (2007) di Brian De Palma, The Hurt Locker (2008) di Kathryn Bigelow e naturalmente American Sniper (2014) di Clint Eastwood che da Falluja al Texas racchiude l’orrore della guerra dal punto di vista dei reduci abbandonati al loro dolore.

Fra mondo “reale” e quello di celluloide scoppia anche un cortocircuito con il magnifico Zero Dark Thirty (2012) di Kathryn Bigelow, incentrato sulla lunga “indagine” – o meglio gli interrogatori sotto tortura – che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden nel suo nascondiglio in Pakistan. La trama (lo sceneggiatore è Mark Boal) sarebbe stata il frutto di “veline” della Cia, che raccontavano una versione degli eventi poi smentita dal report della commissione del Senato che ha indagato sulle torture dell’agenzia dopo gli attentati dell’11 settembre, al centro di un altro film: The Report (2019) di Scott Z. Burns.

E a “rettificare” i crimini Usa contro i prigionieri di guerra arriva di recente anche The Mauritanian (2021) di Kevin Macdonald: la storia di Mohamedou Ould Slahi, detenuto (e torturato) a Guantanamo senza processo dal 2002 al 2016. Sul piccolo schermo è la miniserie The Looming Tower (2018) – creata da Dan Futterman, Alex Gibney e Lawrence Wright – a cercare di dipanarsi fra gli errori di Fbi e servizi di intelligence che hanno invece portato al fatidico giorno dell’11 settembre, fra cui sottovalutare l’ascesa di Osama bin Laden. Ma proprio lui, bin Laden, resta figura nell’ombra del cinema americano, l’equivalente degli “indiani” che minacciavano la diligenza in Ombre rosse di John Ford. Oltre a Zero Dark Thirty solo un altro film lo mette in scena: il tv movie Seal Team Six: The Raid on Osama bin Laden (2012) di John Stockwell. Osano sfidare l’“iconoclastia” che avvolge la sua figura, in chiave più che dissacrante, solo le serie animate, dai Simpson ai Griffin e South Park. Un’assenza, un fantasma come quello della sua stessa morte, mai diventata immagine ma sepolta letteralmente in fondo al mare – il fantasma di un immaginario per sempre cambiato dalla mattina dell’11 settembre 2001.