“Ho capito che il nostro mondo era veramente cambiato quando ho sentito una ragazza cinese fare questa considerazione: ‘meglio essere infelici in Bmw, che felici in bicicletta’. Le disuguaglianze crescono, ma ormai pare un dato di fatto, una verità necessaria, che tutti accettano”. Romano Prodi interviene alle Giornate del Lavoro della Cgil, a Rimini, per spiegare i meccanismi che legano le nuove disuguaglianze, l’antieuropeismo e i populismi.

Il professore è chiamato a fare le sue personali previsioni sull’Europa che verrà: cosa uscirà dalle prossime elezioni? “Speriamo in una Commissione e un Parlamento più forti. L’Unione dovrà riuscire a ad avere una sua voce in crisi come quella ucraina: lì ci voleva una maggiore cooperazione tra Russia e Ue. Cosa c’entrano gli Usa?”. Le risposte non sono semplici, tra le speranze deluse dei cittadini europei, che hanno fatto crescere il populismo, e la necessità di rimettere al centro la parola “uguaglianza”.

“La dottrina per cui tutto ciò che è welfare è negativo è nata con la Tatcher, nel 1980, e subito dopo è stata mondializzata da Reagan – spiega Prodi – Da allora chiunque abbia parlato di imposte ha perso le elezioni, e io stesso ho perso 5 punti in una settimana perché il mio avversario prometteva di togliere la tassa sulla casa, anche se poi ho vinto comunque. Solo negli ultimi anni è tornato in voga il pensiero che critica le disuguaglianze, con Stiglitz e Krugman. E recentemente ha avuto grande successo in Francia e Gran Bretagna un libro di Thomas Piketty, ‘Il capitale nel XXI secolo’, che afferma l’importanza di riequilibrare la tassazione tra capitale e lavoro”.

La Ue, però, secondo Prodi, non ha saputo applicare politiche di giustizia, “anche se era nata per questo”. “Pensiamo al modo in cui si vivono le elezioni, anche quelle amministrative, che ormai diventano sempre di carattere nazionale: questo restringe l’orizzonte dei politici, li concentra sul proprio territorio. Ad esempio la crisi greca è precipitata perché la Germania non ha voluto rispondere subito: c’erano le elezioni regionali e non si voleva dare il segnale agli elettori che si andava a favorire un altro Paese”.

L’ascensore sociale bloccato, la disoccupazione, un capitale che sfugge al governo della politica, il rinchiudersi degli stati nazionali – prima di tutte la Germania – nel proprio orticello. Così si alimentano le divisioni nel vecchio continente, e cresce la diffidenza verso la casa comune. “La Germania ha un’economia che funziona, non ha deficit, ha un surplus commerciale più alto della Cina: potrebbe trainare l’Europa ma sceglie di non farlo – dice Prodi – Merkel preferisce rassicurare il suo popolo, facendo capire che l’Europa va governata non favorendo gli stati ‘cialtroni’ del Mediterraneo, e che solo così non sarà mai un pericolo. Così ha assorbito il populismo, che infatti in Germania non ha attecchito”.

Il professore prevede “un inevitabile e certo successo dei partiti populisti alle prossime elezioni europee”, e “probabilmente si arriverà a una grande coalizione”: “Ma proprio quello sarà il momento di agire: dare finalmente quelle risposte in termini di lotta alla disuguaglianza, redistribuzione e sviluppo che i cittadini si aspettano”.