Enzo Moscato è tra i pochissimi autori teatrali in grado di farci ridere di cuore, e contemporaneamente riflettere in profondità, davanti alle sue irresistibili commedie. Ha più di 30 anni quella in scena ora al San Ferdinando, Ragazze sole con qualche esperienza (fino a domenica 7 gennaio, produzione Mercadante teatro nazionale assieme a Teatri Uniti) e al debutto nei due ruoli «femminili» c’erano proprio Moscato assieme a Annibale Ruccello.

 
Qui, dirette dalla regia di Francesco Saponaro, sono Veronica Mazza e Lara Sansone a interpretare Bolerofilm e Grand Hotel, ovvero i due femminielli travestiti che vivono prostituendosi, ma son riuscite a adescare due galeotti detenuti per mafia. Questi vengono liberati per aver parlato, e quindi perseguitati dalla «giustizia» malavitosa. La trama, quasi una giostra dai continui ribaltamenti, riserva sorprese ad ogni momento. Ma l’elemento davvero straordinario è la lingua, impasto inestricabile di luoghi comuni, facezie, ambizioni frustrate, sogni deliranti e pretese smisurate che le due creature (e poi quattro) pescano dagli anditi più vieti e appetitosi: i fotoromanzi da cui prendono nome innanzitutto, ma anche quelle che oggi definiamo fiction (allora erano semplici telenovelas) e tutto l’apparato pretenzioso del vorrei ma non posso, neologismi cheap di chi vorrebbe essere molto in, battaglie di «dame» di maschile protervia, dolcezze smisurate ma capaci di gestire le ragioni di camorra. Insomma un fuoco d’artificio di invenzioni che oggi ci ritroviamo codificate, e già trent’anni fa Moscato coglieva e ricomponeva quasi avesse un periscopio nel futuro, ovvero oggi che quei discorsi e quei pensieri sono divenuti «patrimonio» di massa.

 
Saponaro, scenografo oltre che regista, sprofonda questo viluppo di contraddizioni desideranti in un succedersi di ambienti successivi tutti cadenti, quasi come la lingua di Moscato che trascolora da una nazionalità all’altra precipitando ogni volta nella coscienza dell’infelicità.

 

A fianco alle due protagoniste, i due sublimi balordi condannati a morte lenta (Carmine Paternoster e Salvatore Striano), Gianni e Pinotto del crimine come le pupe che inanellano assassinii. Un intero mondo fasullo che sembra finto, ma più drammaticamente sembra vero. Come la voce sublime di Gino Curcione che imita la suprema «Giuseppina Bakèr».