Continuano le violenze contro i civili in Burundi, il secondo Paese più povero al mondo. Sarebbero tre le vittime dell’attacco di lunedì scorso nel quartiere Bwiza di Bujumbura per mano, secondo testimoni, di uomini armati di granate giunti a bordo di motociclette. Al raid contro un bar popolare tra i sostenitori del presidente Pierre Nkurunziza, sono seguiti arresti di massa tra i giovani da parte delle forze di polizia locali resesi responsabili più volte di arresti arbitrari.

Il Burundi soffre una grave situazione di instabilità politica e sociale in cui lo ha trascinato la candidatura (contraria alle disposizioni della Costituzione che prevede solo due mandati) dell’attuale presidente alle ultime elezioni presidenziali del 2015 (più di 400 i morti e almeno 200 mila gli sfollati). Uno scenario che a dicembre scorso l’alto Commissario Onu per i diritti umani Zeid Ra’ad al Hussein non ha esitato a definire di guerra civile accusando le autorità del Paese.

Contro le forze di sicurezza locali Zeid Ra’ad Al Hussein ha alzato i toni ancora una volta proprio la scorsa settimana denunciandole come responsabili di massacri etnici e stupri di massa. E chiedendo un’indagine su quelle che sembrano 9 fosse comuni nei dintorni di Bujumbura all’interno delle quali ci sarebbero almeno 100 corpi. Quelli probabilmente di civili arrestati a dicembre subito dopo gli attacchi a tre basi militari.

E su 13 casi di violenza contro le donne avvenute «durante le operazioni di rastrellamento seguite agli eventi del mese di dicembre nei quartieri sospettati di sostenere l’opposizione». La dinamica dei raid punitivi della polizia sarebbe ogni volta sempre la stessa: irruzione nella casa delle vittime, durante le quali gli uomini vengono arrestati e le donne violentate spesso in stupri di gruppo.