Ieri, mentre al largo del paradiso più fiscale che ittico dell’isolotto di Jersey la gallica flottiglia di anarco-pecheurs speronava le portaerei dell’Admiral Johnson – sorta di bicentenario napoleonico in salsa Omega-3 – il resto della Gran Bretagna si recava pacatamente alle urne nel cosiddetto super-giovedì elettorale.

Super, proprio come il Bowl, perché la pandemia ha ibernato il calendario dei suffragi creando un accumulo di elezioni arretrate, politiche ed amministrative: politiche per eleggere i parlamenti scozzese e gallese (rispettivamente di 129 e sessanta deputati), amministrative per 143 council inglesi, ben tredici sindaci compreso quelli di Londra e Bristol e la London Assembly, l’organismo di controllo del sindaco della capitale, più 39 commissari di polizia in Inghilterra e Galles. In tutto, gli aventi diritto di voto erano 48 milioni di cittadini: operazione invero ciclopica.

Tutto si è logicamente svolto nelle più strette misure sanitarie: ci si portava la propria matita e si è votato distanziati nei 35mila seggi ripetutamente disinfettati, sparsi in tutto il paese. Nell’improvviso silenzio delle campagne (elettorali) i media non potevano far altro che pubblicare le consuete foto di cani e gatti in fedele attesa ai seggi, essendo ogni cronaca o commento proibiti fino alla chiusura, avvenuta alle 22 ora di Geenwich.

I risultati, ulteriormente rallentati dal conteggio, anch’esso socialmente distanziato, verranno resi noti nell’arco del fine settimana fino a lunedì. È difficile riassumere l’importanza di quanto riveleranno gli spogli, soprattutto in Scozia, dove il prossimo referendum secessionista è legato a filo doppio alla probabile vittoria nazionalistica del Snp: la preconizzata, larga vittoria di Sturgeon potrebbe essere la porta non girevole da cui far uscire quel Gran dalla Bretagna.

Anche la rielezione di Sadiq Khan sindaco di Londra pare scontata, ma per mancanza di avversari credibili. Quanto alla politica inglese tout court, la by-election nel seggio di Hartlepool, cittadina del nord dell’Inghilterra facente parte del cosiddetto muro ormai ex-rosso laburista, servirà da primo test alla leadership di Sir Keir Starmer a tredici mesi dalla defenestrazione corbyniana. E dai 17 punti che hanno di vantaggio pare proprio che il seggio di Westminster in palio finirà in bocca ai Tories, complice il perdurante scontento del Nord de-industrializzato nei confronti del disastroso tentennamento filo-remain imposto a Corbyn dall’ala moderata pur di toglierselo di torno.

Starmer, prezzolato per disinfestare il Labour dal socialismo residuo pur di riportarlo al potere, finora pare soltanto riuscire nella prima metà dell’opra. La sua incapacità di porsi come alternativa a un paese che da oltre un decennio si sta tenendo i peggiori Tories di sempre – grazie a un Premier capace di mutare la gaglioffaggine in sondaggistico consenso – parla chiaro: battere l’avversario cercando invano di diventare come (e dunque peggio di) lui non paga. Lo spoglio di Hartlepool potrebbe risolversi già nelle prime ore di stamane.