Antonio Gramsci «torna a Mosca», dove visse tra il 1922 e il 1923 nella veste di delegato del Partito comunista italiano al Comitato esecutivo del Comintern, con una esposizione dedicata ai suoi celebri Quaderni dal carcere. La mostra, allestita presso il centralissimo Museo statale di storia della letteratura Dahl, è appena stata inaugurata e resterà aperta al pubblico fino al 7 luglio. Una manifestazione che solo in parte riproduce l’allestimento proposto in più d’una occasione in Italia dall’Istituto Gramsci.

PER QUESTA OCCASIONE infatti sono stati aggiunti documenti, libri, lettere (in italiano e in russo) provenienti dalla collezione dell’Archivio statale russo di storia sociale e politica oltre che foto e oggetti personali dalla raccolta privata del nipote del rivoluzionario sardo ancor oggi residente nella capitale russa e che continua a portare orgogliosamente il nome del nonno.
Tra i cimeli di famiglia si possono ammirare un posacenere che l’indomito fumatore «Nino» trascinò con sé per molti anni e la copia de Il Principe di Niccolò Machiavelli, utilizzata nel periodo della sua prigionia. «Si tratta di un evento di straordinaria importanza sotto il profilo storico e culturale in quanto permette di riaprire un dibattito in Russia sul retaggio politico e la memoria storica, legandolo alla figura di Gramsci», ha spiegato Olga Strada, direttrice dell’Istituto italiano di cultura di Mosca.
L’interesse per la figura del comunista italiano è sempre rimasta viva in Russia. Lo conferma l’ampio interesse suscitato tra gli studiosi dalla relazione tenuta dal nostro Guido Liguori sulle affinità teoriche tra Gramsci e Rosa Luxemburg in un convegno sui cento anni del Cominten, tenutosi proprio qui a Mosca lo scorso marzo. Del resto, anche in Italia in filo rosso che lega il capo comunista alla Russia è tornato d’attualità. Grazie alla ricerca di Naomi Ghetti, da anni sulle tracce inesplorate della biografia di Gramsci, si è venuta dipanando una trama che lo legherebbe alla corrente del proletkult di Alexander Bogdanov, il controverso ed eretico dirigente bolscevico, venuto alla ribalta recentemente del mercato editoriale italiano con il romanzo a lui dedicato dai Wu Ming e la ripubblicazione dei suoi due romanzi. Proprio del romanzo più famoso di Bogdanov, Stella Rossa, l’autore dei Quaderni avrebbe realizzato una traduzione, come messo in luce da Ghetti, a quattro mani con la sua futura moglie Giulia Schucht.

UN’IPOTESI affascinante, corroborata da un ampio studio di Wu Ming 2 pubblicata sul sito della casa editrice Einaudi, che getta nuova luce sulla traiettoria intellettuale del rivoluzionario italiano soprattutto nel momento in cui si apprestava nel 1923 a mettere in discussione la leadership di Amadeo Bordiga nel partito italiano.
Non è un segreto ormai che molte delle critiche che il comunista napoletano rivolgeva all’Internazionale comunista erano per certi versi simili a quelle coltivate in segreto da Bogdanov in quegli anni.